Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Alcuni avranno il mio perdono – L.R. Carrino

Autore: Patrizia Debicke
Testata: Milanonera
Data: 20 marzo 2017
URL: http://www.milanonera.com/avranno-mio-perdono-l-r-carrino-2/

Ci contavo e voilà! Ancora una volta Carrino mi ha stregato.

Con un montaggio avvincente e degno di un’opera teatrale, mette in scena la sua tragedia napoletana che vorrebbe rifarsi a William Shakespeare, il massimo poeta inglese. E però tutto un mare, o per meglio dire un oceano, distaccano l’afflato e la mentalità napoletana dalla consolatoria etica conclusiva immaginata dal Maestro inglese del XVI secolo.

Non basteranno infatti i più sofisticati I-phone di ultima generazione a smuovere le acque e pacificare gli animi di una Napoli, descritta come un inferno assoluto, fatta di sanguinario controllo del territorio, crudeltà ingiustificata e ordini implacabili che parlano di vendetta e di morte imposta e inflitta senza pietà. Né basteranno gli occhi frementi, le bocche e i corpi ancora quasi infantili di Rosa Musso figlia di Maurizio Musso, temuto capo clan, e di Antonio Farnesini, unico figlio ed erede di Maria Sole Simonetti, la reggente degli Acqua Storta. Novelli Giulietta e Romeo che si conoscono, si piacciono, si parlano e credono nell’amore. E soprattutto che il loro amore possa farcela.

Ma niente forse è più in grado cambiare le più torbide realtà napoletane, governate da faticose eredità che costringono a punirsi, a soffrire e a continuare a infliggere sterili sofferenze e brucianti dolori. Tragedia allora forse più greca che scespiriana perché Arturo, che è voce narrante, “prologo” e testimone, non riuscirà, pur con la sua assidua e generosa presenza, a proteggere chi gli sta a cuore e invece sarà trasformato dal destino in “esodo”, nel simbolico deus ex machina, che entra in scena quando l’azione è tale che i personaggi non hanno più vie d’uscita.

Maria Sole Simonetti in Farnesini, facendo sue le atroci regole del gioco, è riuscita a imporsi, a dominare le diverse facce della società camorristica che aveva sempre posto il maschilismo sopra un piedistallo, trasformandosi in una guerriera, in un capo crudele e spietato, una belva feroce il cui unico obiettivo è combattere e uccidere senza pietà.

Da nove anni, da quando uccise a coltellate il boss Antonio Farnesini suo suocero e nonno di suo figlio, quasi davanti agli occhi di sua madre, la potente Angela Lieto. ha raccolto ferinamente la sua eredità. E dalla notte in cui uccise con un colpo di pistola Aldo Musso, fratello del capoclan dell’omonima famiglia, è diventata l’unico indiscusso capo di “Acqua Storta”.

Ma gli anni passano, i mondi cambiano, i sistemi si modificano, i tempi nuovi pretendono il loro pizzo in mezzi e modi e, mentre prosegue inesorabilmente la sfida fra i potenti, il biondo figlio sedicenne di Mariasole, Antonio Farnesini, si annoia, scalpita, cerca spazio, vuole controllare il suo gruppo di piccoli criminali, ma c’è un inghippo che quasi l’acceca, il suo innamoramento ricambiato da Rosa Musso, figlia del peggior rivale di sua madre. La guerra fra i due clan esplode, ma il rapporto tra i due ragazzi mischierà male e a caso le carte in gioco.

La scrittura di Carrino spiega, descrive, focalizzandosi sull’endemica violenza di una Napoli che trabocca di pulsioni e di sentimenti strazianti. E il drammatico scorrere dei capitoli richiama ancor più gli echi classici della tragedia a cui Carrino regala nuova vita.

Un raccontare in prima persona, una voce maschile dicevamo, quella di Arturo, testimone onnipresente ma quasi impalpabile. Ancora l’uso del flash back per una scrittura colta che ben riesce a coagulare “napoletanità” e voluta semplicità delle parole e delle frasi, mentre nei rapporti tra i personaggi si accentua la contorta ritualità del simbolismo che riporta alla più esasperata metafisica camorrista e che potrebbe apparire quasi ridicola a menti e orecchie estranee.

Un applauso alla scelta di utilizzare per il titolo una significativa frase dell’opera del massimo poeta inglese.

E quindi… per chi volesse, meglio ricordare: in Romeo e Giulietta Atto V scena III, William Shakespeare mette in bocca a Escalo il Principe e signore di Mantova a conclusiva dichiarazione:

«Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il mio perdono, altri un castigo. Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo. »