Vincenzo Corti ha quasi sedici anni, vive a Milano con i genitori; mamma in carriera, sempre assente, padre maschilista, arrivista, ricco e violento, almeno a parole; siamo all’inizio dell’estate, la scuola sta finendo, e Vincenzo si trova da solo, in cantina, a tentare di costruire uno skate board, seguendo le istruzioni di un tutorial on line; è molto giù, perché ha scoperto da poco che le ragazze non gli piacciono, prova invece una forte attrazione per il compagno di scuola Pietro che dopo averlo illuso, si sono sfiorati con intensità nella cantina laboratorio dove Vincenzo si rifugia, si ritrae e preferisce mostrarsi in effusioni con una ragazza del giro.
Per una serie di circostanze familiari, “coincidenze” - cameriera filippina in ferie, madre a New-York, padre lontano - Vincenzo, che avrebbe dovuto raggiungere un college estivo vicino Bolzano, finisce per restare solo a casa, nel palazzo deserto; in realtà presto si accorge che al piano di sopra c’è la signora Mercalli, anziana ma vispa e vitale, e soprattutto si è rifugiato nel portone un barbone: chi è l’uomo dai capelli lunghi, la barba incolta, gli abiti stazzonati che dorme vicino alla cantina di Vincenzo? Quando l’uomo finalmente si sveglia dalla sua sbronza la signora Evelina e il giovane Vincenzo capiscono che l’uomo non ricorda nulla di sé, neppure il suo nome, anche se certo non è un ladro e decidono di aiutarlo.
Comincia così, quasi per caso, l’avventura estiva di questo insolito terzetto: Evelina Mercalli è una vedova stravagante, ex parrucchiera di Cinecittà, dove aveva conosciuto e pettinato i più grandi divi del momento. Lo smemorato si chiama Italo, ma questo si scoprirà solo dopo: viene accolto e rifocillato dai due improvvisati amici, e comincerà il difficile tentativo di capire da dove venga, chi sia, che vita abbia fatto fino al momento dell’amnesia. Attraverso la vicenda di questi tre diversi personaggi scopriamo una Milano lontana dai tradizionali stereotipi della città tutta moda, finanza, nebbia: è invece un’estate afosa e rovente, i giardini di Porta Venezia offrono un piccolo rifugio alla canicola, e lì si era rifugiato Italo con il compagno di strada Gaetano; anche lui, dopo aver perso il posto di lavoro ed essersi giocato tutti i risparmi alle terribili slot-machine, era stato scacciato dalla moglie e aveva scelto la strada, vivendo di piccoli furti al supermercato, espedienti non sempre leciti e una terribile amarezza per la deriva di una vita buttata.
“Uno sfilacciato tappeto di cirrostrati conferisce al cielo un colore lattiginoso, vitreo. Milano appare più deserta che mai mentre escono dal raccordo autostradale: palazzi e uffici somigliano a enormi carapaci, vuoti esoscheletri in attesa di rigenerarsi con la ripresa delle attività lavorative”.
Massimo Canuti mette insieme tre storie diverse, di diversa difficoltà nell’affrontare i problemi del vivere: il fallimento nel lavoro, la solitudine della vecchiaia in una grande metropoli, la scoperta della diversità sessuale, la crescita in una famiglia lacerata dalle incomprensioni, il ricordo appannato di un tempo più felice, la scoperta che anche il lavoro manuale può conferire dignità alle persone, accorgersi che l’amicizia non è quella virtuale su Facebook ma si può incontrare anche nel proprio condominio, basta saperla riconoscere.
Un romanzo di formazione per Vincenzo, che dopo la magica estate trascorsa con gli improbabili amici adulti diverrà adulto a sua volta e consapevole delle proprie scelte: potrà affrontare famiglia, scelte sessuali e futuro con rinnovata energia. Milano dunque scenario di una storia lieve, piena di sensibilità e di ironia, malgrado l’umidità soffocante e le zanzare, che non impedisce ai nostri protagonisti di ritrovare vecchi film nel cinema all’aperto, i giocolieri per strada, scoprendo che non sono solo clown, ma persone vere, anzi vicinissime. Non solo storie di fallimenti dunque, ma anche di ritrovamenti e di rinnovata affettività. Linguaggio sempre adeguato alla leggerezza, mai involuto, pieno di dialoghi rapidi e scoppiettanti, come le ruote dello skatebord che regge in copertina il Duomo di Milano: immagine fortemente simbolica, direi, dell’intenzione dell’autore di raccontarci una favola contemporanea, piena di temi di grande attualità.