È un romanzo su un Iran totalmente diverso da quello a cui siamo abituati leggendone sulle prime pagine dei giornali. Uno sguardo a un periodo quasi dimenticato: gli anni dal 1920 fino al 1953, segnati prima dalla conquista del potere di Reza Khan Pahlavi, autoproclamatosi Scià e deciso a spingere anche con la forza un Paese feudale verso la modernità e uno stile di vita occidentale, e poi addirittura da uno sprazzo di democrazia con il governo di Mossadeq, che purtroppo avrà vita brevissima. Parisa Reza ce lo racconta partendo da una delicata storia d'amore, quella di Sardar e Talla, due giovani sposi che lasciano il tranquillo, ma inerte luogo di nascita, un villaggio di contadini dell'interno, per andare a cercare fortuna vicino a Teheran. Il loro sentimento si rafforza mentre si scoprono l'un l'altra, lavorando fianco a fianco: lui si occupa delle pecore, lei fa latticini e formaggi, insieme riescono a porre le basi per un futuro migliore. Ma sono entrambi analfabeti e spaventati dai cambiamenti imposti dallo Scià, che limita il potere religioso e proibisce il chador, che Talla porta come uno scudo protettivo. Sarà invece il loro unico e amatissimo figlio, Bahram, a vivere il clima di rinnovamento: grazie all'istituzione di scuole pubbliche gratuite può studiare e coltivare il proprio talento, diplomarsi, leggere giornali e formarsi un'opinione politica, frequentare ragazze emancipate che studiano all'università con lui. Sembra destinato a un futuro diverso e brillante, si impegna in prima persona per sostenere Mossadeq e la democrazia, ma i suoi sogni si infrangono in un attimo, quando un colpo di Stato reazionario sostenuto dagli Stati Uniti riporterà di nuovo indietro il Paese.