Il protagonista è sempre lui: l’inossidabile Vittore Guerrieri, umbro trapiantato in Puglia, a Ceglie Messapica, per commerciare olio, vino e altri alimenti tipici verso i ristoranti del centro-nord. Anche i suoi compagni di bevute e, soprattutto, di mangiate, sono gli stessi: l’amico Mario, sarto, e sua moglie Maria, regina delle brasciole al ragù. Così come i compari del bar, come il Professore, che cattura gli avventori con le sue litanie onniscienti. A cambiare, nell’ultimo romanzo di Caterina Emili, Il volo dell’eremita (pp. 160, euro 14,50), è soltanto lo strumento della pubblicazione: la prestigiosa casa editrice e/o invece del self-publishing (di successo) utilizzato per gli ultimi libri, L’innocenza di Tommasina e Il ritrovamento dello zio bambino. Preceduti da L’autista delle slot, edito da Besa nel 2012.
Anche stavolta la vita di Vittore riserva la costruzione di un ponte tra la Puglia e l’Umbria. La telefonata di una agenzia immobiliare di Marsciano, un borgo in provincia di Perugia, svela al protagonista l’eredità dell’appartamento di sua madre, per il quale una coppia di neozelandesi innamorato dei paesaggi umbri è disposta a investire una grossa cifra. Soldi che fanno gola a Vittore ma soprattutto ai suoi amici del bar, che lo “invitano caldamente” («Nassi scherz culli sold!», come dice Mario) a recarsi nella sua terra d’origine per ottenere quel compenso inaspettato.
Ma presto Vittore (con Mario che lo accompagna nella trasferta umbra) comprende che la situazione è assai meno semplice. Ingorghi successori lo conducono così a fare la conoscenza di Volendo Guerrieri, un lontano cugino abbarbicato nei boschi dei Monti Amerini, presso Amelia nel Ternano, dove conduce una vita da eremita. Sulle sue tracce si muovono come segugi (non poteva essere diversamente, in terra di tartufi) Vittore, Mario e il Professore, pronto per quest’esperienza fuori dal comune e dalle amate mura di Ceglie.
Chi è davvero Volendo, e quale segreto custodisce, spetta al lettore comprenderlo fino all’ultima pagina, nel consueto intrigo di storie e personaggi (tra i quali svetta, in questo libro, padre Antonio Noica, anzi Noika) creato dall’autrice inframezzato da pranzi sostanziosi, vino a volontà, caffè e ammazzacaffè. Del resto, come dice Vittore: «Ho sempre fame da quando vivo a Ceglie. […] È tornata da quando vivo in Puglia, è tornata prepotente e costante, ingorda di orecchiette, di castrato, di fave, di pittole, di braciole, di taralli. E io la lascio fare, anzi la vizio e la allevo come un prezioso cincillà».