Tempo assassino, ultimo noir di Michel Bussi (ed. e/o, trad. Alberto Bracci Testasecca), è ambientato nella penisola della Revellata, in Corsica. Protagonista è Clotilde, che conosciamo quindicenne attraverso la lettura del diario da lei scritto durante le vacanze in un camping con la madre Palma, il padre Paul e il fratello Nicolas. È il 23 agosto del 1989. E tutta la famiglia perisce in uno spaventoso (e sospetto) incidente d’auto. Tutta, meno Clotilde, rimasta incolume.
La ritroveremo nel 2016, tornata per la prima volta dopo ventisette anni nella Revellata, i cui terreni appartengono in buona parte al nonno, una sorta di “don” corso, carismatico e novantenne. Clotilde stavolta è accompagnata dal marito e dalla figlia adolescente. Il viaggio, iniziato come un pellegrinaggio sui luoghi della tragedia, si trasforma ben presto nella ricerca di una verità che affonda nel passato.
L’innesco è offerto da una lettera a lei recapitata, scritta con una grafia identica a quella della madre defunta. E con alcuni riferimenti che solo Palma avrebbe potuto conoscere. La donna è dunque viva? Eppure Clotilde ha memoria nitida del corpo smembrato di lei.
Il romanzo alterna brani del diario con la rievocazione delle schermaglie tra gli adolescenti di allora e la cronaca delle inquietanti dinamiche tra gli stessi e ormai maturi protagonisti, nel 2016. Fino allo scioglimento dell’enigma.
Quello di Bussi è un thriller dai continui cambi di prospettiva, con una sequenza di colpi di scena dal finale convulso e liberatorio, come l’arrivo, dopo una lunga attesa, di un Godot che ha le sembianze di un assassino. Lettura piacevole e avvincente, anche se non vengono del tutto rispettate un paio di regole del decalogo del romanzo poliziesco di Chandler. Ma infrangere le regole – anche in letteratura – non è affatto un tabù.