Se fosse una ricetta, il romanzo di Harry Kressing – scomparso ventisette anni fa, con una bibliografia rada e più di qualche mistero alle spalle – sarebbe una di quelle semplici e stuzzicanti, da consumare all'impiedi. Breve e affascinante, ha un ripieno che fa gola – ai golosi, agli appassionati di letteratura gotica – e il più promettente degli inizi. Già classico a detta dei cultori del genere, salvato dalla provvidenziale ristampa E/O da un destino di bancarelle da spulciare e pagine ingiallite, racconta con stile elegante ed ironico l'arrivo di Conrad in quel di Cobb. Un borgo fuori dal tempo, in cui nessuno ha dimenticato i livori tra gli Hill e i Vale. A diverse generazioni da un'accesa faida, i casati vivono vicini e in armonia. Non abbastanza, però, per unire in matrimonio i loro primogeniti. Senza nozze, per preciso volere di un lontano parente, è impossibile mettere piede nel castello di Prominence. Conrad, imponente e di nero vestito, prende servizio presso gli Hill: ha toni sornioni, coltelli affilati, ricette sorprendenti. Mangia e beve a sazietà, facendo a gara con i più voraci del paese. Rabbonisce cani e gatti rabbiosi con un libro di cucina illustrato che pensa solo ai loro bisogni. Prende i suoi padroni per la gola. Prepara cibi deliziosi, che saziano e, insieme, fanno bene alla linea. Chi è in sovrappeso dimagrisce a vista d'occhio, così, e una ragazza a un passo dall'obesità riesce a indossare l'abito bianco; chi è cagionevole per natura, al contrario, mette qualche chilo sul girovita e acquisisce guance rosse come mele. Qual è la volontà dell'ultimo arrivato, che svecchia un'aristocrazia in decadenza, fa scoccare la scintilla, permette l'ingresso delle élite in quei saloni principeschi ma polverosi? Cosa escogita nell'oscurità di una cameretta stipata di volumi preziosi e gingilli? Il cuoco è un intrattenimento sottile, intrigante, in cui servi e padroni si scambiano gradualmente il posto. A confine fra l'horror e la commedia nera, fra lo splatter di Sweeney Tood e il grottesco della Signora Ammazzatutti, porta un paio di guanti immacolati e un oggetto contundente sotto il cappotto. La prima parte è piacevole, scorrevolissima; la seconda, purtroppo, assai meno. E reduce dalla lettura di un romanzo altrettanto difettoso, similmente deludente nel suo concludersi, ho finito per caricare il buon Kressing di colpe non sono sue. Non lo sconsiglio, ma non mi ha preso. Complici la stanchezza e il momento sbagliato – provato da trame che partono ad arte e si perdono strada facendo -, a tratti mi ha annoiato. 250 pagine, poche di per sé, mi sono parse troppe per sviluppare un soggetto, forse, più adatto a un racconto. L'allampanato Conrad diverte e ammalia – piacerebbe ad Hannibal Lecter, ma anche ai temibili giudici dei programmi gastronomici di ogni dove -, ma non condivide con noi il suo passato e, nella cronaca del suo intelligente colpo di stato, c'è poco o niente per cui meravigliarsi. Il romanzo cuoce a fuoco lento, con prodotti di prima qualità che sfrigolano sotto il coperchio. Ma la meticolosa mise en place, l'attesa che mette l'acquolina in bocca, il profumo ingannevole, non valgono forse il mordi e fuggi: scomodo, e con un ingrediente segreto che non digerisci.