Intervista a Giorgia Lepore, autrice di Angelo che sei il mio custode (E/O) è stata realizzata per Zest Letteratura Sostenibile da Emanuela Chiriacò ed è andata in onda su IusLaw Web Radio.
Essere un’archeologa ti agevola nel processo creativo della scrittura e se sì come?
Non so negli altri casi ma per quanto mi riguarda è stato stretto sin dall’inizio perché il mio primo romanzo è storico con ambientazione alto medievale e io sono un’archeologa medievista; mi sono occupata per tanti anni di quello. Da un punto di vista tematico, il rapporto e anche metodologico è molto forte. Il tipo di indagine si avvicina molto, perché porta a ragionare per strati, fasi, schemi e questo nella scrittura aiuta, soprattutto nella scrittura di un noir perché la metodologia di indagine, per certi versi, è simile. Non dico che siano la stessa cosa, dico però che alcuni modi di ragionare, una certa impostazione mentale possono essere abbastanza simile. Per quanto riguarda la scrittura in generale, ero abituata a scrivere dei saggi; i saggi danno un approccio sistemico, un ordine nell’organizzazione delle informazioni, nella struttura e soprattutto nel rendere delle cose, spesso complesse, fruibili a chi sta leggendo. Nell’ultimo romanzo, Angelo che sei il custode, l’ambientazione e la conoscenza del territorio, da un punto di vista storico e archeologico, sono stati fondamentali.
Nell’immaginario collettivo il noir è un genere abitato da animi e penne maschili, tu sconfessi questo assunto e lo arricchisci di una contaminazione tua personale che nella mia recensione ho definito fusion. Il noir è la base su cui tu sperimenti altri generi e li innesti?
Innanzitutto la definizione fusion mi è piaciuta tantissimo perché corrisponde molto bene alla mia idea di noir, di letteratura e di narrativa in generale. Non dovrebbero esistere paletti di genere e non dovrebbero esistere barriere. La distinzione tra generi non la capisco molto, concepisco invece una distinzione di linguaggi, di stili. E non credo che un solo singolo genere sia funzionale alla letteratura contemporanea. Diventa più un limite, una schematizzazione che non agevola la lettura e tanto meno da bene al mondo dell’editoria, già abbastanza in crisi come sappiamo tutti. Quindi se già stento ad accettare i paletti nei generi, immagina come posso accettare i paletti tra maschile e femminile! Quando ho iniziato a scrivere noir, il problema non me lo sono posto, non ho pensato “ah in Italia ci sono poche donne che fanno noir! ma com’è la situazione?” Le mie letture noir prevedono scrittrici al pari di scrittori: Fred Vargas, le scrittrici scandinave, Patricia Highsmith. Io faccio quello che mi piace fare e spero mi riesca bene. Trovo assurdo che ancora ci si ponga questo tipo di problema in Italia! Evidentemente esiste se tutti lo riscontrano. In effetti la stragrande maggioranza degli scrittori noir è maschile, e se ancora si parla di scrittura maschile e femminile, siamo messi malissimo.
Oltre a Gerri Esposito, colleghi e superiori, ruotano altri personaggi all’intero di Angelo che sei il mio custiude, mi pare che il più dettagliato sia il territorio, il luogo dove la storia si svolge. Visto che lo hai citato prima, cosa puoi dire in merito?
Il territorio è fondamentale per la mia formazione. Sono abituata ad avere a che fare con il territorio e con il paesaggio. Archeologia non significa soltanto lo scavo ma anche lo studio del territorio, del paesaggio, lo studio dell’evoluzione di questo paesaggio. Quindi sono abituata a confrontarmi con ciò che si chiama il contesto che in archeologia come in storia è importantissimo. È l’unico personaggio che resta tangibile e quindi lo considero come tale. E questo si sovrappone a una delle caratteristiche tipiche del noir mediterraneo che è proprio la personalizzazione del contesto e del territorio, sia urbano che suburbano. Esiste un forte legame tra il testo narrativo e il contesto in cui la storia si svolge. Per cui è assolutamente congeniale con cosa voglio fare. In Angelo che sei il mio custode è fondamentale perché San Michele, la grotta di San Michele, il santuario di Monte Sant’Angelo sono una presenza molto forte. Ciò che in archeologia si definisce un’evidenza. Un’evidenza talmente forte che acquista la dimensione di un personaggio vero e proprio. Capita quando hai a che fare con dei contesti molto forti, con delle città che hanno una personalità talmente emergente, talmente dominante che poi si impongono nel tessuto narrativo come personaggi veri e propri.
Gerri Esposito è un personaggio complicato in apparenza, complesso nella realtà narrativa. Come è nato?
È un po’ difficile rispondere a questa domanda, perché i personaggi nascono in una maniera misteriosa, difficile da mettere a fuoco. Me lo sono chiesto a posteriori, ho cercato di capire dopo quando hanno cominciato a pormi la domanda. Ho cercato di capire da dove fosse nato. Mi ricordo soltanto che ho scritto I figli sono pezzi di cuore al mare. Ero in vacanza, cominciai a scrivere una notte, e man mano che scrivevo, si definiva meglio il personaggio perché era lui che mi raccontava questa storia e io definivo lui, i suoi contorni. Sicuramente ha a che fare con degli incontri, delle esperienze che ho avuto, con persone che ho conosciuto. Ogni tanto rintraccio un pezzo, mi ricordo “ah ecco questa cosa di Gerri forse appartiene a quella persona o quell’esperienza che ho vissuto”. È come se il cervello sintetizzasse tanti elementi e li componesse poi in un insieme autonomo. Banalmente posso dire che mi sono creata un bel giocattolo. È un personaggio con cui gioco molto. L’ho creato un po’ come fanno i bambini, che inventano personaggi inesistenti e li coccolano come se fossero veri.
Stabilito che Gerri Esposito è il tuo bounce, il tuo amico immaginario, parlerei invece dell’espediente letterario della mammana che è una scelta eccezionale, avvincente e vincente nel racconto. Puoi raccontare come è scaturita l’idea di questo personaggio singolare all’interno del romanzo?
Nella nascita di una storia ci sono cose che sono incontrollabili da un punto di vista razionale. Cose che fai molta fatica a rintracciare, a capire come sono nate mentre ce ne sono altre che sono studiate e razionali. La mammana fa parte di questa seconda categoria perché il personaggio della mammana si ispira ad un incontro reale. Tanto tempo fa mi trovavo a Craco, un paesino lucano abbandonato perché ha un problema di dissesto geologico. Sta crollando però è molto bello. Ero lì una mattina di capodanno con amici. Il paese era deserto e vediamo arrivare due donne completamente vestite di nero e con un velo nero che copriva la faccia, dalla direzione del cimitero. A me non era mai capitato di vedere una donna col velo nero come si usava negli anni ’40, prima della guerra. L’avevo vista nei film! Erano uguali, stessa altezza, stesso abbigliamento, magre, vestite molto bene, tailleur nero, calze nere velate, tacchi a spillo e veletta nera che ne copriva la faccia. Si avvicinano al mio gruppo, (per altro c’erano anche dei bambini che hanno iniziato a piangere per la visione) come se ci dovessero dire qualcosa ma non dicono nulla. Viste in faccia sembravano due gemelle dall’età indefinibile, abbozzano un sorriso e vanno via. Parlottiamo tra di noi perché ci era sembrata un’apparizione, ci voltiamo ed erano sparite, ingoiate da una delle stradine del paese in cui per altro non si poteva entrare perché transennata. Un vecchio che fumava la pipa ci guarda, scoppia a ridere e dice “le avete viste a quelle?”. Una scena surreale! Prima o poi la dovevo mettere in un romanzo. Mi sono divertita tantissimo a creare questo personaggio.