Questo libro è per ogni donna che pensa che la violenza di un uomo lasci tracce solo sul corpo. Per chi ha una passione che infuria dentro di sé e vuole condividerla ad ogni costo. Per chi è innamorato e per chi non lo è.
Nel gennaio 2015 Carmen Consoli ha realizzato quello che secondo me è l’album più bello della sua carriera: L’abitudine di tornare. Dieci canzoni che raccontano i giorni nostri, alcune delle quali mi sono tornate in mente durante la lettura di questo romanzo. Hanno molto in comune il ritorno discografico della cantautrice siciliana dopo la lunga assenza per dedicarsi alla nascita del primo figlio e Sottomissione volontaria, romanzo della scrittrice svedese Lena Andersson, appena pubblicato da e/o Edizioni nella traduzione di Carmen Giorgetti Cima e vincitore del più prestigioso premio letterario svedese, l’August Prize.
Non volevo comprarlo questo libro. Non volevo trovarmi a leggere la solita storia della donna che si lascia sopraffare dall’uomo di turno. Mi ha convinto l’affidabilità della casa editrice, e confesso di non essermene pentita.
Ester, la protagonista, ha 31 anni, è una saggista e poetessa in ascesa nell’ambito accademico. La sua è una vita ordinaria: ha un buon lavoro, è stimata professionalmente, ha un uomo che la ama da tempo, e trascorre il suo tempo a leggere, scrivere e discutere di arte. Una donna come tante con una vita che segue il ritmo naturale delle cose.
Un giorno di giugno riceve una telefonata e la richiesta di tenere un discorso sull’artista Hugo Rask. Da questo momento inizia una catena di eventi che sconvolgeranno la sua vita. Lascia il fidanzato e l’ordinarietà che aveva caratterizzato la sua esistenza viene soppiantata dal dramma. Così ha inizio l’infatuazione sistematica di Ester nei confronti di Hugo.
Banale nella sua semplicità è l’inizio di questa relazione. Con una scrittura potente, la Andersson tesse una trama evidenziando la nostra fragilità ed il modo in cui siamo disposti ad ingannare noi stessi nel nostro desiderio di essere amati.
Nessuno dei due era interessato a lei ma entrambi erano interessati a lui.
Entrambi amano la stessa persona: l’artista narciso ed egocentrico che attrae Ester per il suo essere colto e interessante, ma privo di qualsiasi gesto di amore, attenzione, affabilità e la giovane folgorata dall’intellettuale affascinante.
Questo libro è un rasoio affilato, è spietato e l’autrice compie una dissezione percettiva raccapricciante della psicologia di un amore unidirezionale. Un romanzo incentrato sulla storia di un amore non corrisposto e della perdita del senso del limite da parte della protagonista. La Andersson riesce a non scadere nella banalità narrativa utilizzando una prosa complessa ed uno stile elegante.
Quello di Ester non è amore. Così come questo non è un libro che racconta una storia d’amore, ma un’ossessione, una fissazione compulsiva. Ester ha una vita emotiva infantile, ricorda un’adolescente confusa alle prese con la prima cotta della sua esistenza.
Ecco che mi è venuta in mente una canzone tratta dall’album L’abitudine di tornare, di Carmen Consoli.
Oceani deserti, scritta insieme a Max Gazzé, ben rappresenta lo stato di Ester, consapevole dell’assenza di “urgenza” a stare insieme da parte di Hugo, ma che non riesce a comprenderne il motivo, ritenendo il loro un rapporto elitario, unico, indissolubile.
Quale puerile fragilità
La convinzione di averti
Accarezzare una rosa recisa con crudeltà
Sguardi lontano
Si perdono già
Siamo oceani deserti
Per quanto ci provi
Non riesco a capire
Come sei
Cosa vuoi
e ancora:
Non hai l’urgenza normale
Di stare con me
Solo con me
Puoi anche amare
Così, se ti va
Tu cosa scegli che io ho scelto già
Ma forse anche tu non riesci a capire
Come sei
Cosa vuoi
Come Carmen Consoli, Lena Andersson ci costringe a riflettere sull’irragionevolezza degli esseri umani. Uno dei temi centrali, insieme all’attesa di un uomo che è presente ad intermittenza, è la menzogna.
La menzogna esige una certa dose di disumanizzazione, almeno contingente. La menzogna è una corazza. Non mentire, quando ve n’è la tentazione, equivale a mettersi nudi.
Silenzio, menzogna, attesa ci portano al secondo brano che rappresenta insieme a Oceani deserti la colonna sonora di questo libro: L’abitudine di tornare il brano che dà il titolo all’album.
Ma io non posso chiedere
Io non devo chiedere
Sarai tu a rispondere se vorrai
Ma io non posso piangere
Io non devo piangere
Sarai tu a decidere se vorrai
Tornare è un’abitudine
Per quelli come te.
Non chiedere, aspettare, affidarsi completamente al volere dell’altro. Adattarsi alla condizione dell’attesa perenne diviene il leitmotiv anche per Ester, che finisce col trovare “normale” la distanza e l’assenza creata e mantenuta da Hugo. L’uomo che lei ama è la rappresentazione fisica della provvisorietà, così come provvisori sono gli spazi che lui stesso abita: in casa sua sembra un ospite di un hotel in procinto di abbandonare una camera.
Ester aspetta, non si muove, sta. Considera tutte le possibilità senza mai mostrare rabbia, stupore. Non accetta che ci siano diritti personali non rivendicabili. Vede la distanza, l’assenza, la percepisce, ma non se ne cura, si lascia scivolare addosso tutti i dolori psicologici inferti dal sapiente artista oggetto del suo amore immaturo.
Tutto ciò che esiste vuole vivere, e la speranza non è un’eccezione.
Trascorrono mesi, feste comandate, assenze incolmabili di un uomo che in realtà non c’è mai stato. Ma come ci ricorda Lena Andersson, la speranza può essere uccisa solo con la brutalità dell’evidenza.
Una passione intellettuale, un dramma che potrebbe essere inserito in qualsiasi periodo storico, in ogni luogo, un dramma che potrebbe essere vissuto da ciascuno di noi. Una storia che fa venir voglia di gridare e prendere la parola per dire: Addio amore. Abbi cura di te. Proprio come insegna Carmen Consoli.
Buon ascolto e buona lettura!