Jérôme Ferrari non ha ancora avuto in Italia il giusto riconoscimento, ed è un vero peccato. Un esempio? Prendete Il principio, uscito pochi mesi fa: Ferrari ripercorre la vita di Werner Heisenberg – il papà della fisica quantistica – dalla scoperta del principio di indeterminazione all’ambiguo rapporto con il nazismo, dai contrasti accademici con Einstein negli anni Trenta a quelli politici ed esistenziali con Bohr in un’Europa ormai devastata dalla guerra. Nel farlo, però, l’autore corso (che nel 2012 ha vinto il Goncourt) non cede alla tentazione della biografia, della semplice concatenazione dei fatti: Il principio non racconta l’uomo che sta dietro all’indeterminazione, racconta l’indeterminazione in sé, le sue implicazioni filosofiche ed esistenziali. Perché Ferrari non si ferma mai alla superficie delle cose; indaga, scandaglia, mescola e rimescola, alla ricerca di quello che fa diventare una storia qualcosa di più. (Ps: su Heisenberg e sul famoso incontro tra lui e Bohr del 1941 esiste anche un bel testo teatrale di Michael Frayn. Si intitola Copenaghen ed è la mia bonus track.)