Parlare di limiti etici della ricerca scientifica sembra per qualcuno una riproposizione del processo a Galileo. Per fortuna ci sono libri, come quello del professore di filosofia Jérome Ferrari, che ricordano come le cose siano ben più complesse. Il romanzo biografico su Werner Heisenberg «Il Principio» (Edizioni E/O, pp. 144, 14€) ci racconta che i laboratori di fisica, i microscopi e le equazioni, non difendono definitivamente dalle superstizioni e dall'ingiustizia. E tantomeno esauriscono la conoscenza dellà realtà, se è vero che il sentimento che accompagna le nuove scoperte dei fisici si sottrae sempre a ogni scoperta, essendone piuttosto una tra le cause.
La felicità più piena, una soddisfazione suprema, il piacere assoluto della scoperta muove gli scienziati. Heisenberg aveva 22 anni quando sull'isola di Helgoland, nel Mare del nord, scopri il principio di indeterminazione, contribuendo, assieme a Erwin Schrodinger, Paul Dirac, Wolfgang Pauli, Niels Bohr, Max Born, a rivoltare come un calzino la fisica.
Il principio di indeterminazione, che valse al trentenne Heisenberg il premio Nobel (1932), dice che non si possono conoscere simultaneamente posizione e velocità di un elettrone. Ferrari dà del tu a Werner, quasi che in virtù di un'affinità elettiva potesse rivivere i momenti più belli e duri della sua carriera. Duri come il rifiuto di Adelheid van Weizsacker, di cui era innamorato. Un rifiuto tanto tangibile, quanto la realtà degli elettroni era per Heisenberg evanescente e indeterminabile. La fisica quantistica, la cui scoperta ha reso possibile l'enorme progresso della tecnologia del XX secolo, afferma che la materia, nelle sue componenti più piccole, si comporta in modo strano. I paradossi sono talmente grandi che il nostro linguaggio è inadatto per descriverli. Lo spazio si incurva, la successione temporale, la relazione causa-effetto non sono più definibili con sicurezza (non è accertabile se è il fuoco a causare l'incendio di una foresta o se è vero il contrario). La scienza, raggiunto il culmine, termina all'incertezza.
Nei rapporti umani vigono però altre regole, poiché il dolore di un rifiuto è reale e lo fu anche la scelta (evitabile attraverso l'espatrio) di collaborare con il nazismo oltre al silenzio di fronte alla cacciata degli scienziati ebrei dall'università. Il genio tedesco si mise addirittura al lavoro per costruire un reattore nucleare, solo in seguito divenendo consapevole degli scopi militari che i suoi capi avevano in mente. È possibile pensare che nessun dilemma etico abbia arrovellato il grande scienziato? No di certo, racconta Ferrari anche sulla base di ottima documentazione storica. Così che il romanzo ribadisce da una parte la straordinaria grandezza culturale dell'impresa scientifica (ma anche umana, poiché l'amicizia la sostanzia, come quella tra Niels Bohr e Heisenberg). D'altra parte sottolinea come la scienza stessa, di per sé, non risolve dilemmi etici, piuttosto li crea. Essa descrive leggi della natura, ma rispetto al bene e al male consegna domande spinose. Così è anche oggi con i teoremi matematici applicati alla finanza globale, conclude l'autore. La riproposizione di questa tematica rende «Il Principio» un buon libro (vincitore tra l'altro del premio Goncourt 2012), sebbene un po' ostico al lettore a digiuno di letteratura scientifica.