Michel Bussi ha scritto il suo ultimo thriller sentimentale, Tempo assassino (e/o, pp. 512, euro 16, traduzione di Alberto Bracci Testasecca), ambientato in Corsica e non in Normandia come accadeva di solito nei suoi romanzi precedenti.
Siamo nell'estate del 1989, lungo una strada tortuosa che corre nella penisola della Revellata, al confine netto tra mare e montagna. Clotilde è a bordo della Fuego (Renault) del padre, con la mamma e il fratello. Il papà corre. È un attimo. Ad una curva l'auto sbanda, i pneumatici slittano sul brecciolino, il salto nel burrone è un morso che uccide i tre componenti della sua famiglia lasciando viva soltanto lei, illesa per miracolo. Estate 2016. Clotilde torna su quel dirupo, con un mazzo di fiori, un marito ed una figlia che scalpita perché di quei nonni e di quello zio non le frega niente. Non li ha mai conosciuti. Qualcuno li vede, però, su quel dirupo che guarda il mare e a Clotilde arriva una lettera. Da parte della madre. Che non è morta.
Un colpo di scena. I libri di Bussi sono così. Delicati meccanismi ad orologeria congegnati per far pensare come i sentimenti siano i veri promontori del dubbio esistenziale.
Se la madre non è morta, perchè è sparita? Sarà lei davvero o un millantatore sciacallo? Il giallo di Bussi non ha bisogno di assassini o di sangue versato perché i veri sicari dell'anima restano i sentimenti: la tradizione di Mauriac e della famiglia vista soprattutto come un nido di vipere, hanno trovato un epigono. Lo scrittore della Normandia ha raggiunto la fama molto tardi. Professore di Geografia all'Università di Rouen nonché Direttore del laboratorio di ricerca CNRS della città di Giovanna D'Arco, esplode letteralmente nel 2011 quando, dopo anni di scrittura e di rifiuti, invia un suo manoscritto al Direttore della casa editrice francese Presses de la Cité, Denis Bourgeois, che glielo pubblicherà con il titolo Ninfee nere (già pubblicato in Italia da E/O) e una prima tiratura di 3.000/4.000 esemplari.
Dopo, Bussi registrerà vendite da 400.000 copie a libro sfornando un successo all'anno. Oggi è considerato l'autore di romanzi gialli più letto in Francia.
«I suoi libri sono puri thriller del cuore, in cui la componente tipica resta il colpo traditore che non ti aspetti anche se le sue copertine si presentano sempre con pastelli delicati».
Le è cambiata la vita con il successo editoriale?
«Mi è cambiata nel senso che oggi dispongo di una libertà esistenziale maggiore. Posso scegliere di scrivere quello che voglio non dipendendo dai gusto dell'editore, per esempio. Per il resto posso dirle che il successo mi è arrivato così tardi che mi riesce difficile modificare le mie abitudini di vita».
I suoi romanzi sembrano essere ispirati da Agatha Christie. Riesce sempre ad orchestrare delle trame ad indovinello per il lettore.
«Agatha Christie mi piace molto. Ma ho letto anche Ray Bradbury, per esempio. Le dirò che in più, di mio, ci metto la manipolazione del lettore. L'ingrediente fondamentale è instaurare un rapporto di complicità con il lettore talmente stretto da non fargli accorgere che lo sto manipolando...».
C'è sempre una parte di mistero nei suoi libri.
«Sicuro. Un esempio perfetto di quanto dice lei è Un avion sans elle che narra la caduta di un aereo nel Jura francese. Soltanto un infante si salverà, conteso da due famiglie, l'una povera e l'altra ricca. Non solo. C'è anche una parte di mistero nel fatto che sono riuscito a vendere migliaia di libri pur non essendoci preparato».
Ma è vero che galeotto fu Dan Brown?
«Ero a Roma, nel 2005, in piena follia Codice Da Vinci. Vedevo le persone passeggiare in Vaticano con libro sottobraccio. Ebbi una specie di rivelazione. Pubblicai presso un editore locale il mio Codice Lupin, che mi trasformò nel Dan Brown normanno!»
Dicono di lei però che non fu la stampa a darle una spinta ma i lettori e le piccole librerie.
«È vero. Ho vinto però anche tanti piccoli premi letterari, circa una ventina, in tutta la Francia. Ninfee nere ha invece vinto tutti quelli importanti. Il vero salto quantico l'ho compiuto però con i grandi supermercati (quelli degli alimentari) dove i miei libri spopolavano tra le lettrici».
Non ha mai sentito l'esigenza dopo il successo letterario di abbandonare l'insegnamento?
«Umberto Eco lo ha mai abbandonato?».
Lei è uno specialista del processo democratico all'interno della geografia. Geopolica. Perché non ha mai voluto scrivere un libro che trattasse questo tema?
«Guardi,mi sono sempre battuto per evitare di diventare un sapiente (savant). Scrivo e leggo già troppi testi scientifici. Preferisco non mescolare i due universi. A dire il vero mi sento un insegnante cercatore, un mestiere del sogno. I miei libri sono tradotti in 22 paesi. La cosa più importante resta per me il fatto che si leggano in fretta».
Qual è il segreto della sua produzione ipertrofica?
«Ho un sacco di manoscritti nel cassetto. Sono stato un lettore per tanti anni, quelli dei rifiuti. Ora, ogni tanto non faccio altro che estrarre un libro da dove l'avevo lasciato...».