Pubblichiamo le prime pagine del romanzo IL PRINCIPIO di Jérôme Ferrari (Edizioni E/O – traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca)
Il nuovo romanzo del vincitore del Premio Goncourt 2012. La straordinaria storia di una scoperta fondamentale della fisica contemporanea.
POSIZIONI
POSIZIONE 1: HELGOLAND
A ventitré anni, su quell’isolotto desolato in cui non
spuntano fiori, per la prima volta le è stato dato di
guardare oltre la spalla di Dio. Nessun miracolo,
naturalmente, e in realtà niente che somigliasse da vicino o
da lontano alla spalla di Dio, ma per riferire ciò che è successo
quella notte possiamo scegliere soltanto, nessuno lo
sa meglio di lei, tra la metafora e il silenzio. Per lei è giunto
prima il silenzio, e lo stordimento di una vertigine più preziosa
della felicità.
Non riusciva a dormire.
Seduto in cima a una scogliera aspettava che sul mare del
Nord sorgesse il sole.
Oggi la immagino così, con il cuore che batte nella notte
sull’isola di Helgoland, così vivido che potrei quasi toccarla,
proprio lei, professore, il cui nome, perduto nel grigiore
di un’interminabile bibliografia in mezzo a tanti altri
nomi tedeschi, all’inizio indicava per me solo un principio
strano e incomprensibile.
Da tre anni, a Monaco, Copenaghen e Göttingen, si dibatteva
in problemi così tremendamente complicati che
persino il giovanotto candido e ottimista che era allora dovette
talvolta, come i suoi compagni di sventura, maledire
il giorno in cui aveva avuto l’idea bislacca di impicciarsi di
fisica atomica. Sempre di più gli esperimenti davano risultati
non solo incompatibili con le conoscenze assodate della
fisica classica, ma per giunta scandalosamente contraddittori,
risultati assurdi eppure inconfutabili che impedivano
di farsi un’idea o una qualche immagine un minimo sensata
di ciò che succedeva all’interno di un atomo. Ma sull’isola
di Helgoland, in cui era venuto con la faccia devastata dalle
allergie per proteggersi dal polline e forse dalla disperazione,
ha capito che il tempo benedetto delle immagini era
tramontato per sempre, così come accade per il tempo dell’infanzia:
ha guardato oltre la spalla di Dio e, attraverso la
sottile superficie materiale delle cose, le è apparso il luogo
in cui la materialità si dissolve. In quel luogo segreto, che
non è neanche un luogo, le contraddizioni vengono abolite
insieme alle immagini e alla loro familiare sostanza; in quel
luogo non rimangono vestigia del mondo descrivibili nel
linguaggio degli uomini, c’è solo la forma pallida dei matematici,
silenziosa e temibile, c’è la purezza delle simmetrie,
lo splendore astratto della matrice eterna, tutta l’inconcepibile
bellezza cha da sempre aspettava di rivelarsi ai suoi
occhi.
Senza la fede nella bellezza forse non avrebbe trovato la
forza di condurre la sua mente, come l’ha condotta senza
requie per tre anni, fino ai limiti estremi in cui l’esercizio
del pensiero diventa fisicamente doloroso, ed era una fede
così profonda che né la guerra né l’umiliazione della sconfitta
né i sanguinosi soprassalti delle rivoluzioni abortite
erano riusciti a far vacillare. Aveva dodici anni la prima
volta che ha visto suo padre in divisa, e la punta metallica
dell’elmetto deve averle evocato il pennacchio spaventoso
degli eroi achei. Al momento della partenza, quando suo
padre si è chinato per dare un bacio ai figli, cioè a suo fratello
Erwin e a lei, Werner, non ha forse sentito un brivido
per il soffio epico della Storia che davanti ai suoi occhi
aveva trasformato il professor August Heisenberg in guerriero?
Alla stazione gli addii, i canti, le lacrime e i fiori esprimevano
qualcosa di più elevato della gioia ingenua o brutale,
esprimevano la certezza di condividere un destino
comune che esigeva si corresse il rischio di sacrificargli la
vita perché era da lui che ogni vita individuale traeva valore
e senso, esprimevano la sensazione esaltante di non essere
altro che la parte materiale di un tutto spirituale e grandioso
e, guardando partire suo padre e i suoi due cugini,
forse ha rimpianto di essere troppo giovane per andare con
loro. Ma il primo cugino è morto, e quando l’altro è tornato
in licenza lei non l’ha riconosciuto.
Ha intuito allora qual è talvolta il prezzo del guardare
oltre la spalla di Dio?
Poiché Dio, qualsiasi cosa indichi questa metafora, è
anche maestro dell’orrore ed esiste una vertigine dell’orrore,
forse più potente di quella della bellezza. È la vertigine
che coglie gli uomini di fronte alle membra mozzate,
al puzzo dei cadaveri fusi nell’argilla con grumi di vermi
che colano dalle ferite come una pasta viva e l’occhio rosso
dei topi annidati nell’ombra dei petti squarciati, e più ancora
di fronte alla profondità degli abissi che ospitavano
senza saperlo.
Nel tendere la mano verso il fucile durante le notti di
trincea si riconosce un gesto arcaico, infinitamente più vecchio
della Storia, un gesto primordiale e selvaggio la cui essenza
non è stata alterata da granate, gas, carri armati, aerei
e da tutti gli altri progressi della modernità, perché niente
la altererà mai.
Correre a perdifiato, cadere di faccia guardando il proprio
sangue scorrere a fiotti, aspettare con angoscia l’appa-
rizione di tracce bianche di cervello. Ma c’è solo sangue, e
il tenente Jünger si rimette in piedi e ricomincia a correre
con il cuore traboccante di un’ebbrezza da cacciatore,
aspettando l’estasi del momento in cui il volto del nemico
sorto dalla terra apparirà nella sua nudità e avrà finalmente
inizio la tanto desiderata lotta, amorosa e mortale, dalla
quale uno dei due non si rialzerà.
(…)