Sono cambiata molto. Ma c’è qualcosa di più, che ha a che fare con la mia natura. Caterina se la ricordano tutti, è rossa di capelli, è uguale a mamma: io, se non sono con lei, posso essere chiunque. C’è una chiarezza indefinita in me. Mi basta cambiare taglio di capelli, indossare un paio d’occhiali da vista e mi tocca spiegare chi sono anche a gente che conosco da sempre. A me non importa. Anzi, passare inosservata mi piace. Ai tempi dell’università a Milano i miei compagni mi mandavano a trafugare bottiglie nelle enoteche affollate, e in effetti io entravo e uscivo con una barbera sotto il cappotto e nessuno si accorgeva di niente. Credo che il mio tratto più caratteristico sia proprio questo: la mancanza di un contorno nitido. È qualcosa che forse mi accomuna con l’isolanità, con lo scivolar via dell’acqua e il mutare del paesaggio al vento.
Un ritratto della protagonista, Teresa, dal sapore ginzburghiano, in cui si assommano, quasi inconsapevolmente tutti i temi, molteplici, presenti nel romanzo. “Isole minori”, il primo romanzo di Lorenza Pieri, già autrice di diversi racconti e di un memoir, traduttrice e con esperienza nel mondo editoriale, è un romanzo di formazione, che si riaggancia palesemente a “L’isola di Arturo” della Morante. Implicito e forte il parallelismo tra Procida e l’isola del Giglio, come luogo di formazione e trasformazione, ma la scrittrice sentisse il bisogno di dare un suggerimento chiaro al lettore, ecco comparire Irma, un setter bianco arancio della stessa età di Caterina, la sorella di poco maggiore di Teresa.
Il suo vero nome doveva essere Immacolatella. Era stata mia madre a scegliere sia il cucciolo, il più grosso che c’era, sia il nome: visto che aveva partorito una bambina e non l’aveva potuta chiamare Arturo aveva comunque pensato di rendere omaggio al romanzo della Morante usando il nome del cane. Però Immacolatella si era rivelato difficile e troppo lungo. Quando mia sorella aveva iniziato a parlare chiamava la cucciola Imma e quindi su suggerimento di babbo era diventata Irma, come Irma la dolce, aveva detto.
Teresa cresce all’ombra delle donne di famiglia, quella accudente di Nonnalina, quella impegnata e impegnativa della mamma Elena, detta La Rossa, non solo per la capigliatura, e quella simbiotica nella diversità della sorella Caterina.
Le incontriamo bambine, nell’estate del 1976, con il Giglio in rivolta, fomentato e sollecitato dalla Rossa, per l’arrivo di Freda e Ventura, che nella lingua infantile di Teresa, che cerca di captare i discorsi dei grandi, diventano un unico mostruoso personaggio: Fredavventura, in cui si racchiudono tutti gli errori e i silenzi di anni difficili per l’Italia, quelli dello stragismo. Caterina, dall’alto della sua età maggiore della sorella e da una consapevolezza che le viene da un’indole più spigliata e risoluta, la redarguisce e corregge, a sancire un ruolo tra le due di supremazia e sudditanza emotiva.
La viviamo con gli occhi di una bambina, motivo di grande fascino del libro, questa pagina di resistenza civile, il cui fallimento è una dura, polemica ma non gridata recriminatoria contro il mondo politico italiano che non ha mai voluto e in parte potuto coraggiosamente fare luce su una pagina tragica della propria Storia, lasciando che siano i cittadini a combattere, e inesorabilmente a perdere.
costa-concordia-giglio_650x435Lorenza Pieri accompagna la sua protagonista fino al gennaio del 2012, quando dinnanzi alle coste dell’isola si accascia la sagoma ingombrante della Concordia e di nuovo gli abitanti si mobilitano per dare soccorso, aiuto, solidarietà. Un nuovo mostro, che parla della decadenza dei nostri tempi, e una piccola speranza, che il senso civico e civile dei singoli non si perda: è Lorenzo, figlio di Teresa di soli dieci anni, il doppio di quando la madre ne aveva ai tempi di Fredavventura, che si solleva contro chi dalla carcassa della nave ha portato prima in salvo il caveau con i soldi e poi le persone.
Anche in questo caso, la polemica è sottile e persistente, mai urlata, ma intimamente, tragicamente, personalmente vissuta dai personaggi.
Il fascino di “Isole minori” è nello sguardo che da un punto marginale e isolato osserva la storia recente, che non è solo lo sguardo marginale della realtà geografica in cui è ambientata, segnata da partenze e sparuti ritorni, scelte di per sé coraggiose come quella di Vittorio e poi di Teresa; ma il senso di marginalità è amplificato dallo sguardo di una bambina prima e di una donna poi, dove l’essere donna nelle professioni e nelle scelte non è mai così centrale; e dalla particolare indole di Teresa, un personaggio complesso pieno di sfumature, di una fragile ossimorica forza d’animo. Uno sguardo femminile, che sa illuminare anche gli uomini, dar loro peso e fragilità, infittirne le trame delle scelte esistenziali, con i tormenti, le leggerezze, le manchevolezze e una rude tenerezza che li rendono uomini e padri fascinosamente ritratti.
Teresa torna sull’isola, come se fosse un rifugio, ma poi del suo rimanere fa motivo di crescita e di impegno, civile e umano, e infine materno. Forse in questa scelta, sofferta e coraggiosa, Lorenza Pieri gioca la sua scommessa “femminista”, con leggerezza di toni e introspezione di sguardo.
“Isole minori” è un romanzo letterario, a partire dalla prosa: una lingua che è raffinata ed elegante, senza posa e senza orpelli. Come quelle donne che non ostentano la bellezza con la cura degli artifici e dei gioielli, ma risaltano il loro fascino nella cura di se stesse, e in questa cura di sé rintracciano e tracciano la propria naturale, essenziale bellezza.