Un libro spiazzante e affascinante, questo di Angelo Angelastro, che rovescia molti stanchi luoghi comuni e illumina di una luce schietta e radente le vicende dell'Africa italiana e della conquista dell'Etiopia, attraverso i limpidi e a volte beffardi ricordi di un protagonista, che racconta la storia della sua vita, dalle illusioni giovanili all'amaro ripiegamento finale. Il suo nome è Filippo Salerno. Siamo nel 1935, e lui, come tanti altri italiani, è eccitato dal sogno di ricostruire l'Impero romano. Si arruola volontario. Ma la realtà dei fatti e misfatti dell'avventura coloniale lo avvolge un po' alla volta in una rete di scontri e di inevitabili compromessi con i pigri e incapaci burocrati arrivati da Roma con le ingioiellate consorti. E poi arriva la guerra, e lui finisce in Libia. Ma Salerno, prima di tutto, è un curioso osservatore: sa "vedere" con occhio da reporter, e sa raccontare. È anche un bravissimo fotografo (sua è la straordinaria foto di copertina). La vita della gente, i volti e le storie delle persone lo interessano e il lettore si appassiona a seguirlo attraverso le vicende inedite e affascinanti che segnano il percorso della sua maturazione umana. Allo scenario etiopico della prima parte segue il progressivo incombere della disfatta nel periodo libico, fino alla prigionia e alla condanna a morte, evitata per miracolo. Ma la sua voce è inquadrata nella cornice della testimonianza del giovane giornalista - ideologicamente agli antipodi - che ha apprezzato la dirittura morale del vecchio reduce disincantato, lo ha convinto a raccontare la sua personale odissea, lo ha registrato e poi ha ripreso in mano le cassette con attenzione più matura: sicché i due registri narrativi si intrecciano senza confondersi, in un'inedita prospettiva di rilettura di un personaggio e di un'intera epoca.