Jean Luc Seigle, scrittore e drammaturgo francese, vincitore nel 2012 di un importante premio letterario, è l’autore di alcuni romanzi di grande impatto emotivo, tra i quali “Vi scrivo dal buio”, il suo quarto libro, che narra la storia vera di Pauline Dubuisson, balzata agli onori della cronaca nera francese negli anni Cinquanta. Dipinta dai giornali come un’assassina spietata per aver ucciso, a soli ventun anni, l’ex fidanzato, Felix, fu anche la causa indiretta della morte del padre, suicidatosi per la vergogna di avere una figlia che si era macchiata di un così orrendo delitto. Ma le traversie di Pauline, raccontate dallo scrittore in prima persona attraverso i diari della stessa protagonista, iniziano già durante l’occupazione nazista, quando, a soli sedici anni e mezzo, con già addosso la fama di ragazza facile attribuitale dalla sua città natale, Dunquerke, viene accusata di essere stata l’amante di un ufficiale tedesco, quindi, di collaborazionismo e poi rapata a zero durante la Liberazione.
Nell’introduzione l’autore traccia un breve ritratto della giovane che, da studentessa iscritta alla Facoltà di Medicina, dopo la tragedia, diviene una carcerata. I giornalisti del tempo, come riferisce l’autore, si accanirono su di lei con particolare ferocia: egli, infatti, definisce le biografie scritte sul suo conto un “crimine letterario”, perché basate soprattutto sul pregiudizio. Condannata a nove anni di prigione nel 1953, le viene concessa la grazia sei anni dopo. A tali vicende si aggiunge il fatto che la sua tormentata vita ispira a Georges Clouzot un film, “La verità”, interpretato da Brigitte Bardot, “una storia senza spessore basata sul narcisismo femminile”, ben lontana dalla realtà vissuta dalla protagonista, che sconvolge ancora di più Pauline, riportandola al centro dell’interesse sociale. Anche ciò contribuisce alla sua fuga in Marocco, nel 1962, dove scriverà le sue memorie in un diario immaginario, nel quale però racconterà la “sua verità”.
Jean-Luc Seigle inizia la narrazione esattamente da questo viaggio forzato verso la terra in cui la donna cerca di ritrovare un po’ di serenità, per riemergere dall’oscuro abisso nel quale il suo paese natale l’aveva fatta sprofondare. L’autore si immedesima intimamente in Pauline, raccontando, con un linguaggio scorrevole ma di grande intensità emotiva, le vicende relative alla sua vita e alla sua famiglia, difficili sin dall’infanzia, ed esternando la sua sensibilità così stravolta dagli eventi che la sovrastano, in modo da suscitare la solidarietà ed il coinvolgimento del lettore attraverso le sensazioni, i sentimenti e le lotte interiori della protagonista.
Il soggetto principale del racconto di Pauline è la sua famiglia: il suo “bellissimo papà” che, tuttavia, per salvarla dalla guerra, fu responsabile della sua permanenza come infermiera nell’ospedale in cui conobbe il medico tedesco, causa dello scandalo; i due fratelli morti in guerra; la madre, gravata dai lutti e da un profondo senso d’inutilità. Ma vi compaiono anche i fatti che hanno sconvolto la sua esistenza ed il famigerato film sulla sua vita, a cui ha assistito in una sala cinematografica a Dunquerke, restandone scossa e profondamente turbata. Lo stesso titolo del film, “La verità”, non solo non corrisponde al contenuto ma addirittura lo stravolge, mostrando una Pauline sfacciata, fin troppo disinvolta e peccatrice, quando invece ciò che ha sempre caratterizzato la sua esistenza, come l’autore ripete costantemente nel libro, è stata la ricerca perenne e rassicurante dell’amore, vero, puro, disinteressato, nonostante questa sua “fame affettiva” sia stata causa di notevoli errori di valutazione riguardanti alcuni personaggi incontrati quando era estremamente giovane.
Pur tuttavia, all’inizio della sua permanenza in Marocco, a Essaouira, la protagonista sembra ritrovare un minimo di pace, incontrando persino un nuovo amore, Jean, al quale non osa rivelare nulla del suo passato ch’egli, in realtà, conosce già per aver visto il fatidico film ma senza immaginare chi ne fosse la vera protagonista. Anche l’amore per l’uomo, a causa di tale fardello, diventerà un tormento, poiché pur avendo cambiato nome ed identità, lei resterà sempre Pauline, la ragazza dai grandi sogni miseramente naufragati, atterrita ma persuasa dell’importanza di rivelargli la vera se stessa. Per questa ragione intende scrivere per Jean un diario in cui aprire il suo cuore perché possa comprendere come e perché le azioni commesse siano state innanzitutto compiute a suo stesso danno.
Prima di consegnare a Jean il diario, composto da tre quaderni, Pauline legge e rilegge ciò che ha scritto: vorrebbe disperatamente che lui comprendesse chi è veramente, svelandogli la sua anima, la sua natura, quanto di “pulito” ci sia in lei e, soprattutto, questo suo immenso bisogno di essere amata, per liberarsi, una volta per tutte, dai fantasmi del passato. Ma, prima della consegna, viene colta dal dubbio: non sarebbe forse il caso di trovare il coraggio e parlargli? In che modo potrà farsi meglio comprendere dal proprio amato? Le angosce patite le daranno finalmente tregua o è destinata ancora una volta a farsi sopraffare da esse?
“Voci dal buio” è un romanzo avvincente basato, come si è detto, su un fatto di cronaca, ma è anche un libro che lascia spazio a diverse interpretazioni: Pauline è davvero una vittima o, in realtà, una carnefice? Ciò che ha subìto è sufficiente a giustificare quanto ha commesso? Una cosa è certa, come afferma l’autore nell’epilogo: Pauline “dopo anni di lotte femminili ed evoluzione della società francese” non è mai stata riabilitata, mai è terminato l’accanimento mediatico nei suoi confronti. L’impulso di scrivere questo libro, “ripescando” la sua storia dalle cronache dell’epoca, è scaturito proprio dalla volontà di rendere giustizia ad una giovane donna tartassata dalla vita, che ha indubbiamente commesso molti errori ma li ha scontati uno per uno.
Il romanzo offre uno spaccato non certo lodevole di una società che si accanisce in particolare contro una donna in quanto tale, come se un reato commesso da una mano femminile fosse più grave dello stesso reato compiuto da un uomo, e non trovandole mai alcuna giustificazione per colpe che sono, comunque, la conseguenza di abusi e soprusi che di frequente le donne, allora come oggi, sono costrette a subire. Pauline ne aveva dovuti sopportare tanti, ma nessuno ha voluto riconoscerle alcuna attenuante in quanto donna, già giudicata e condannata senza pietà: per questo è un libro da leggere con attenzione, attuale e pregno di significato sin dal grido d’esordio: “Vi scrivo dal buio, dall’oscurità in cui mi aveva gettata il delitto, ovviamente ma anche da quella piena di mostri e fantasmi che terrorizza i bambini”.