Nel 1997 Jean-Claude Izzo è impegnato nella scrittura del secondo capitolo della Trilogia Marsigliese (opera che lo rende celebre) ma sente la necessità di scrivere anche altro: una raccolta di poesie, una serie di racconti sparpagliati in diverse antologie e un nuovo romanzo, Marinai Perduti. Storia dal titolo meraviglioso, narra le vite di tre uomini, Adul Aziz, Diamantis e Nedim. Il primo è libanese, il comandante dell’ Aldébaran, un cargo che è però oggetto di pignoramento per i debiti che i creditori sostengono siano legati alle scelte dell’armatore, quindi Abdul Aziz si ritrova ad essere il comandante di una nave che non uscirà dal porto di Marsiglia. Il suo secondo è Dimantis, il greco, uomo dalla spiccata sensibilità e poeta:
Il mare, continuò Diamantis, non lo si scopre mai da soli, e non lo si vede solo con i propri occhi. Lo si guarda come altri lo hanno visto, attraverso immagini e racconti che ci hanno tramandato. “Io ho conosciuto il mare così. Sulle ginocchia di mio padre. Così ho imparato la storia, la geografia. E la letteratura ha iniziato così ad avere un senso. Per lo meno quella che sa raccontarci che esistono mari in cui non potremo mai tuffarci, porti in cui non potremo mai scoparci delle ragazze. E paesi che sopravviveranno alla stronzaggine del genere umano”. […] “Amo il mare, ecco tutto. Dal mare la terra si vede in un modo diverso, e anche gli uomini”.
Il terzo dei personaggi è il marinaio turco Nedim, che decide di prendere la liquidazione insieme al resto dell’equipaggio e non restare sulla nave ferma a Marsiglia, contrariamente al capitano e al secondo che non vogliono abbandonare il mare anche al costo di star fermi, per tornare a casa, in un paese non lontano da Istanbul. Attraverso di lui conosceremo alcune delle figure femminili: Lalla e Gaby, due entraineuses incontrate nell’ultima notte a Marsiglia prima di partire verso casa, che gli sottraggono tutto il denaro impedendogli di fatto il ritorno. Le altre donne del romanzo, Céphée, Melina, Aysel, Amina, Mariette, sono figure spesso immaginarie, presenti solo nel ricordo dei tre uomini ma mai incontrate in carne e ossa, sembrano far parte di un mondo immaginifico, lontano, circondate dalla luce scintillante dei bei ricordi, irreali e irraggiungibili. Le donne sono in alcuni casi come una matrioska, tra realtà e immaginazione, tra la concretezza della loro figura e il sogno di loro: storie che si intrecciano, vari nomi dietro cui si nasconde una sola persona. Quello che accomuna i tre protagonisti è proprio il rapporto controverso con il femminile, l’amore e il dolore provocato alle/dalle loro compagne, le speranze di una vita felice insieme, il ricordo di un passato che non può più tornare, ma soprattutto, la competizione mai risolta tra l’amore per loro e l’amore per il mare, sempre più forte anche se spesso infelice.
“Chiaro, le donne che amiamo sono per forza belle. Se no mica ci andremmo a letto insieme! Più belle di Céphée ce n’è a migliaia, lo so benissimo. Ne ho viste in tutti i porti del mondo… Ma lei… Quello che aveva negli occhi era solo per me. È così l’amore”
Altro personaggio femminile fondamentale è Marsiglia, anzi protagonista assoluta. Città di esuli, multietnica e multiculturale, una città in cui tutto si rivela plausibile, ogni incontro è possibile, città di passaggio e indissolubilmente legata al mare. Questo infatti è stato definito il romanzo del Mediterraneo: in primo luogo per i personaggi che provengono da diversi paesi affacciati su di esso, per i loro viaggi, per la loro dipendenza da questo mare; poi per tutte le leggende, i miti, le storie che vengono raccontate, le consuetudini dei vari paesi, le culture analizzate; i colori, gli odori, che sa descrivere Izzo.
La prima volta che ti imbarchi è importante quanto la prima ragazza con cui sei andato a letto. Se non di più. La stessa paura. La stessa vertigine. Tranne che di quell’amore, non appena lasciato il porto, sai che non te ne libererai mai più.
Il mare, il viaggio rappresenta la vera identità di questi tre moderni Ulisse, in particolare di Abdul Aziz e di Diamantis. Nell’eterno movimento nell’acqua salata si trova la loro vera identità. Sono marinai.
In mare, e soltanto lì, si sentiva libero. In mare non si sentiva né vivo né morto. Solo altrove. Un altrove in cui riusciva a trovare qualche buona ragione per essere se stesso. E gli bastava.
Sono marinai perduti, perché se è vero che la loro identità e nel mare e loro sono a bordo di un cargo, questo è fermo, e fondamentale per loro è la distanza dalla terra. Se normalmente l’uomo dalla terra ferma si perde a guardare l’orizzonte, per i marinai di Izzo l’impossibile è rappresentato dalla staticità della vita sulla terra. L’acqua li ha come stregati, ne sentono il richiamo – proprio come Ulisse con le sirene delle quali ascolta il canto cercando di non rimanerne vittima, così il greco e il libanese sentono il richiamo del mare e con questo combattono perché questo gli farà perdere ciò che hanno sulla terra – ha dato la vita ad ognuno di loro e allo stesso tempo gli ha allontanati dalla vita reale (un po’ come accade per Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, il mare è tutto quello che conosce, la terra lo terrorizza). Si perdono nella stabilità dell’immobilità e non , paradossalmente, quando mollano le cime. Anche il cargo, fermo nel porto, ha ormai perso il senso del mare. La staticità li spinge a riflettere sul senso dell’acqua salata e su quello della vita: quanto il loro viaggiare gli ha tolto, le loro donne hanno dovuto competere con un amore che non avrebbero mai potuto eguagliare, è come se fossero rimaste sempre le loro amanti, di passaggio, momentanee, poi loro tornavano sempre dal primo amore. Ma il mare è anche la più grande metafora della vita:
“No, pazzo no. Credo che il mare lo terrorizzasse. Che ne avesse una fifa boia fin dal primo giorno di navigazione. E allora ci si buttava dentro in pieno, per vincere la paura”. Abdul trangugiò un sorso di birra, pensieroso. Poi continuò: “siamo così nella vita, no? Qualcosa ci fa paura e ci buttiamo dentro. Nella paura, voglio dire. A testa bassa. Non credi?”
I sentimenti, quindi, hanno una connotazione universale, descrivono in modo spietato e realistico il dibattito perenne dell’animo umano. Così come Victor Hugo scriveva: “Spesso ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fono al mare” così Izzo fa dire ad Abdul: “Non c’è naufragio peggiore di quello della propria vita”. Fermi riflettono sul senso della vita, dell’amore. L’amore ha mosso e muove l’intera esistenza dei protagonisti. Inseguono la verità sulle “vicende terrestri” successe mentre loro c’erano e ancora di più quelle accadute in loro assenza. La ricerca della felicità è quello che li ha portati ad esplorare ogni singola goccia di mare. Tragico, ironico, disilluso, solenne Izzo racconta la storia di una vita e di tutte le vite, riuscendo a elevare al ruolo di protagonista tutti i suoi personaggi, le loro storie sono interdipendenti e lo diventano con quella del lettore; struggente e inquieto: la malinconia è il principale sentimento che pervade ogni cosa, proprio come l’aria salmastra nelle città di mare. La salsedine ha ricoperto e arrugginito le loro esistenze, è arrivata a lasciare una patina sulla vita a terra.
Adesso sentiva distintamente i rumori della città. Irrompevano dalla finestra aperta della camera. Colpi di clacson. Stridore di freni. Sirene della polizia. Voci. Batter d’ali di piccioni, a volte. Lo stesso tumore, in tutti i porti del mondo, che ti invade dopo esser stato a letto con una sconosciuta che non rivedrai mai più. Il rumore della nostalgia. A ricordarti che non sei di lì, che sei uno straniero di passaggio. Un marinaio perduto.
La scrittura fluida e piena attraversa la ricerca delle verità, il senso profondo delle scelte e ci trascina verso un finale che, seppur prevedibile, ci pone davanti agli effetti collaterali delle scelte dell’uomo. Lascia aperti interrogativi e buone speranze. Anche le vicende che sembrano concluse, le più catastrofiche possono inaspettatamente portare altrove, in un altrove dove è rimasto ancora qualcosa da portare in salvo, a riva, ricordandosi che “Essere stati è una condizione per essere”.