Quando Ernst Lothar (1890-197 4) scrisse Sotto un sole diverso nel marzo 1942 la barbarie nazista non era ancora conosciuta in tutte le sue dimensioni dall'opinione pubblica mondiale, men che meno negli Usa, dove lo scrittore austriaco ed ebreo si era rifugiato dal '38. Quasi vent'anni più tardi, allorché il romanzo apparve in tedesco, non c'erano più ombre o dubbi sull'entità di tale barbarie; tuttavia Lothar non mise mano al testo, in cui non si fa cenno alla tragedia dei Lager, se non in pochi riferimenti al campo di prigionia di Pilsen. È dunque evidente che l'omissione costituisce una scelta stilistica di Lothar, il quale lascia alla dimensione psicologica e intima più che alla denuncia esplicita il compito di disvelare gli orrori del Reich. E risiede proprio in questo la forza di Sotto un sole diverso (traduzione di Monica Pesetti, e/o, pagine 373, € 18). storia di un'antica famiglia dell'Alto Adige, i Mumelter, deportata in Cecoslovacchia in seguito all'accordo fra Hitler e Mussolini per l'italianizzazione forzata dell'area. Le dinamiche psicologiche innescate dallo sradicamento, unitamente al clima di paura in cui tutti si trovano a vivere, disumanizzano drammaticamente la quotidianità dei sudditi, vecchi e nuovi, del Reich. Sospetto e diffidenza diventano il tratto comune di ogni rapporto; frequentarsi è pericoloso e non si può più nemmeno parlare a voce alta fra le mura di casa. Lo snaturamento dell'umano è tale che addirittura l'amore viene percepito come una colpa; perché dove non c'è libertà, dove vigono il terrore e l'oppressione, si arriva a provare vergogna per il tratto che più ci rende umani: l'ebbrezza di amare, riamati, e di essere felici per questo.