Una delle caratteristiche principali della poetica di Simona Lo Iacono consiste nella commistione tra letteratura e diritto, tra narrazione e norma giuridica. Questo elemento, che potremmo considerare come vero e proprio marchio caratterizzante della scrittura dell’autrice siracusana – già presente nei suoi tre precedenti romanzi: Tu non dici parole (2008), Stasera Anna dorme presto (2011), Effatà (2013) – lo ritroviamo anche nella sua nuova opera letteraria: Le streghe di Lenzavacche (edizioni e/o – semifinalista al Premio Strega 2016). Il riferimento a una normativa giuridica (relativa all’istituzione scolastica al tempo del regime fascista) avrà un ruolo fondamentale per lo sviluppo della narrazione.
La trama è costruita su un duplice piano temporale (il 1600 inoltrato e il 1938) sviluppato nel medesimo luogo di ambientazione: l’immaginario paesino siciliano di Lenzavacche che si affaccia alla mente di noi lettori come una piccola realtà cittadina a vocazione rurale e peschereccia (peraltro una contrada chiamata Lenzavacche esiste davvero nella provincia siracusana).
Veniamo al titolo: “Le streghe di Lenzavacche”. Chi sono queste streghe? Sgombriamo il campo da equivoci di sorta, precisando che coloro che vengono indicate con l’epiteto di streghe in realtà, nella Lenzavacche del 1600, non hanno proprio nulla di malefico. Tutt’altro. Si tratta, viceversa, di un gruppo di donne che si riunisce per un fine nobile, altruistico; votato a mettere in pratica i più puri principi della solidarietà umana soccorrendo donne che si trovano in difficoltà: mogli abbandonate, giovani gravide senza il sostegno famigliare; donne che, in generale, si trovano in situazioni di emarginazione (e dunque di pericolo) nel contesto di una società difficile come possiamo immaginare sia stata quella di un piccolo paesino siciliano del 1600. Ma proprio questo spirito di comunanza, di sorellanza, che spinge queste donne alla instaurazione di una vita comune indirizzata al mutuo soccorso, nonché allo svolgimento di attività artistiche e culturali come quella letteraria, finisce con l’essere travisato. E queste donne finiranno con l’essere bollate con l’epiteto di streghe, con tutte le terribili conseguenze del caso.
Dalla Sicilia del 1600, facciamo un salto a quella del 1938 (che è l’epoca in cui la storia del romanzo inizia a dipanarsi), sempre a Lenzavacche.
Il periodo storico in cui i personaggi del romanzo si muovono è quello in cui il fascismo è al massimo della sua potenza. È il periodo dei Balilla, dell’imposizione dei principi del regime anche all’interno dei programmi scolastici. È l’epoca del culto della perfezione fisica. Perché il regime non può accettare l’imperfezione, o la diversità (considerati segni di debolezza).
In questo contesto, in questo periodo storico, conosciamo una famiglia molto particolare, composta da una giovane madre (Rosalba), un bambino disabile (Felice) e una nonna (Tilde).
Rosalba ha avuto questo figlio a seguito del rapporto d’amore con un arrotino di passaggio, soprannominato il Santo. È una storia d’amore che può sembrare frutto del caso, anche se in realtà raggiunge la perfezione. Rosalba, riferendosi a quest’uomo, usa il termine “fiamma gemella”, evocando un’appartenenza ancestrale. Il Santo, però, per una serie di ragioni che non svelerò, sarà portato via da persone vicine al regime. E Rosalba rimarrà sola a crescere questo figlio. Lo chiamerà Felice, a dispetto della disabilità. Felice di nome e di fatto, perché il bambino ha voglia di vita, ha desiderio di gioia. Non si arrende di fronte ai limiti e alle difficoltà. Così come non si arrendono la madre Rosalba e la nonna Tilde.
Nell’ambito di questo percorso di “superamento dei limiti” giocheranno un ruolo importante altri due personaggi chiave del romanzo: Mussumeli, l’anziano farmacista del paese; e Mancuso, un giovane maestro che si troverà a insegnare proprio a Lenzavacche.
Alfredo Mancuso, d’altra parte, è il protagonista del secondo piano narrativo in cui si sviluppa il romanzo e che si incentra su una narrazione epistolare. Attraverso una serie di lettere che il maestro indirizza a un’anziana zia, scopriremo – pagina dopo pagina – anche la sua storia.
Sono storie che procedono avanti e indietro nel tempo e che sono destinate a incontrarsi. E alla loro origine ci sono loro: le streghe di Lenzavacche.
Oltre che per un doppio piano narrativo, questo romanzo si caratterizza per un doppio registro linguistico. La seconda parte del libro, infatti, contiene una sorta di testamento redatto sul finire di 1600 dall’ultima rappresentante delle “streghe” di Lenzavacche (Corrada Assennato), dove il puzzle della narrazione troverà il suo completamento. Un testo da dove emerge la storia di queste donne e che non manca di stupire per la bellezza e la peculiarità del linguaggio (un linguaggio che ricalca le forme espressive dell’epoca e che, peraltro, con riferimento alla storia narrata, è intriso di valenza preconica).
Una prosa immaginifica ed emozionante. Una trama forte, coinvolgente, caratterizzata anche dal forte valore etico e morale della scrittura e della narrazione di Simona Lo Iacono. Una storia che si schiera contro le ingiustizie e le crudeltà del mondo, aprendo una finestra importante sul ruolo della pietà umana e sulla necessità di non arrendersi di fronte alle difficoltà.
Torno al titolo e al riferimento alle “streghe”. Ho già precisato che, in verità, non c’è nulla di “streghesco” in queste donne siciliane del 1600 che, viceversa, diventano vittime e martiri di una società chiusa, crudele, feroce, pronta a giudicare e a condannare in virtù di un semplice pregiudizio. Nessuna “strega”, dunque. Anche se, all’interno del romanzo, è presente una intuizione presaga che si fa parola scritta e che, in un certo senso, raggiunge persino la nostra scrittrice. Ma su questo, non svelerò altro. Chi vorrà sapere a cosa mi riferisco, lo scoprirà solo leggendo.