Bari. Marzo 2016. Il mitico 32enne ispettore della squadra Mobile Gregorio Gerri Esposito, bello e impossibile, svagato e presuntuoso, è da poco rientrato in servizio dopo la convalescenza e la sospensione di 4 mesi (senza stipendio) per la vicenda durante la quale aveva rischiato la vita e gli avevano sparato alla testa, al torace, al bacino. Viene da Napoli ma non vi torna da almeno dieci anni, un esilio autoimposto. Era nato e cresciuto lì, abbandonato dai genitori, in un orfanatrofio gestito da bravi persone, un prete di strada e una suora laica, ormai morti. Si sente ovunque fuori posto, senza legami e senza senso. Affronta ogni caso arrovellandosi su complicati schematici appunti sui fatti, chi dove come quando perché, appassionandosi alle relazioni affettive che pensa di non conoscere. Gli fa da padre il vicequestore aggiunto Alfredo Marinetti, suo capo alla terza sezione. Insieme vanno a Manfredonia dove un bambino è stato trovato morto in un bosco dalle parti del Gargano: lo sgozzamento risale a due anni prima, sulla fronte ha delle incisioni, era denutrito. Cominciano a studiare i vari casi di bambini scomparsi negli ultimi dieci anni tra Puglia e Basilicata, sette femmine e cinque maschi. Arriva da Roma una specialista dirigente della sezione minori, Giovanna Aquarica, alta e statuaria, volitiva e decisa, primo amore (tanto tempo prima) di Marinetti. Gerri piace alle donne. Dopo iniziali conflitti anche alla nuova arrivata (vent’anni più grande), lui si è lasciato con la giovane collega Sara Coen, è invaghito della moglie del capo Claudia, ripensa ad Annalisa e Lavinia. E soprattutto cerca Niccolò, 7 anni, appena rapito nel cortile dell’oratorio a Bitonto. Vede che c’è un legame con il culto di San Michele. Lo rintraccia al santuario ma qualcosa frana.
Dopo saggi scientifici e un interessante esordio letterario con un eretico romanzo storico, l’archeologa e insegnante d’arte Giorgia Lepore (Martina Franca, 1970) prosegue la bella serie contemporanea di un impegnativo protagonista, segnato dalla carenza di ricordi e amore della madre e dalla invadente presenza affettiva di troppe donne, legami brevi e brevissimi. E sia Marinetti che Aquaviva stanno conducendo un’indagine personale sui fantasmi del suo passato zingaro che da una parte lo opprime, dall’altra lo rende ipersensibile, quasi folle metodologicamente. La narrazione è su di lui, terza persona (quasi fissa) al passato, qualche breve corsivo su un bimbo maschio abbandonato al buio. Accanto alla trama noir vi sono i contesti emotivi e sentimentali, praticamente assenti quelli sociali e politici. Il titolo e la copertina fanno riferimento a Michele, religioso angelo armato che pretende sacrifici; tutto il testo è ben permeato dalla competenza storica dell’autrice: simboli, riti, statue, chiese, tracce di Longobardi e Bizantini in una splendida regione. E il nuovo collega Calandrini è stato catapultato lì dalle Marche. Ovviamente Gerri beve Primitivo (e al quarto bicchiere ne risente), comunque non scorda la canzone preferita di don Mimì, “Azzurro” di Paolo Conte (con i colori, gli odori e il mare di Mergellina).