Nel secondo romanzo che vede protagonista l’ispettore Gerri Esposito si scava parecchio, in senso fisico ma soprattutto in senso metaforico; e se già ne I Figli sono Pezzi di Cuore il percorso umano del nostro eroe si approfondisce di pari passo con il caso da risolvere, in Angelo che sei il mio Custode (sempre edito da E/o) Giorgia Lepore preme ancora di più sull’acceleratore, tanto che più volte l’indagine psicologica ruba la scena a quella poliziesca.
Lungi dall’essere un limite, questa esplorazione dei cunicoli mentali dell’ispettore Esposito (e non solo i suoi), che si va a intrecciare all’investigazione che segue il ritrovamento del cadavere di un bambino, è anzi il punto di forza della narrazione, tanto più che, a un passo dalla conclusione, la suspence non si gioca tanto sulla risoluzione del caso, quanto piuttosto sulla tenuta emotiva e psicologica del protagonista, che solo se supererà le rivelazioni capitategli tra capo e collo riuscirà a chiudere l’indagine.
Rispetto a I Figli sono Pezzi di Cuore, Angelo che sei il mio Custode ha anche un altro punto di forza: l’essere una storia più d’insieme, più larga (oltre che più profonda), meno incentrata sul protagonista e attenta alle sfaccettature dei comprimari; e allora anche il sempre stabile Marinetti mostra degli (umanissimi) sbandamenti, il Monsignore (che si conferma il mio personaggio preferito) assume un carattere sempre più villain, e i nuovi ingressi portano domande (Giovanna), tamponano ferite non solo emotive (Sara) e si profilano come aiutanti ambigue ma positive (la Mammana, spettacolare, che meriterebbe un romanzo a sé).
E il tratto distintivo di Giorgia Lepore si conferma proprio nella capacità di creare personaggi che muovono la storia, che la costruiscono e la rendono solida, che si interfacciano con il loro ambiente (sociale e geografico) e lo creano, in maniera umana e credibile.
E che ti fanno venir voglia (e piacere) di ritrovarli.