È un romanzo, quello nuovo di Jérôme Ferrari, uno dei maggiori scrittori francesi di oggi, complesso, difficile, estremamente affascinante, sia per la struttura, sia per la forza di un linguaggio che sa entrare nella complessità della scienza, ma riesce anche a rendersi immaginifico e visionario quando attraversa la Storia e le sue disfatte, che il traduttore, Alberto Bracci Testasecca, sa rendere al meglio, in tutte le sue sfumature.
Ferrari affronta la figura del fisico tedesco Werner Heisenberg senza affidarsi al più facile espediente del romanzo biografico, anzi scegliendo, anche strutturalmente, la più complessa forma di una interrogazione sulle sue utopie, sulle sue scoperte scientifiche, sulle scelte contraddittorie nella Germania nazista. Infatti il racconto è affidato alla voce di un uomo dei nostri giorni, che nella complessità delle sue esperienze di vita, ha un punto fermo: i libri, (e in particolare quello che aveva scritto per spiegare il suo "principio") del fisico tedesco dai quali non si separa, in attesa del momento del confronto serrato con quelle che sono state le sue scelte. Il romanzo si apre sulla sua figura di uomo giovane, quando a ventitré anni, sulla desolata isola di Helgoland in cui non riescono a spuntare neppure i fiori, «per la prima volta gli è stato dato di guardare oltre la spalla di Dio», un modo per indicare cosa era avvenuto, «tra la metafora e il silenzio», in quella notte, quando ha la percezione esatta «di una vertigine più preziosa della felicità». Da qualche anno si occupa di fisica atomica e la fede nella bellezza, che non lo abbandonerà mai, gli restituisce la forza di condurre la sua mente fino ai limiti estremi. Ferrari lo segue in questo percorso che lo porterà nel 1927, alla scoperta del «principio di indeterminazione» che afferma che non è possibile conoscere simultaneamente posizione e velocità di un elettrone: se se ne determina esattamente la posizione, la velocità diventa una totale incognita, mentre se ad essere misurata è la velocità diventa vaga la sua posizione. Proprio questo principio sta alla base della fisica quantistica, da cui si è partiti per la realizzazione della bomba atomica. Ferrari porta in scena i momenti dell'apprendistato del fisico tedesco, mettendo in luce e sottolineando episodi cruciali sia di quando Heisenberg è giovane allievo di Niels Bohr, sia dell'esperienza di giovane professore all'Università di Lipsia, fino al Premio Nobel che riceve nel 1932, oltre alle sue discussioni con Einstein sul principio della relatività.
Il romanzo si fa più incalzante quando Ferrari ripercorre le scelte contraddittorie del fisico nella Germania hitleriana, quando la maggior parte degli altri fisici, espulsi dall'insegnamento, decidono di riparare all'estero, mentre lui sceglie di restare, anche se l'identità ebraica potrebbe costargli la vita. Riceve però una copertura, proprio in virtù della possibilità di lavorare a un reattore nucleare, insieme ad altri giovani fisici, una prospettiva che lui accetta, anche se consapevole che la riuscita del progetto potrebbe essere usata per la costruzione di armi di distruzione assai pericolose. Con una serie di interrogativi che gli pone lo scrittore: «Contava di approfittare della sua posizione per preservare la scienza tedesca e tenere lontani dal fronte i suoi rappresentanti più giovani e intraprendenti sostenendo che le erano indispensabili? Aveva accettato di dirigere le ricerche per meglio ostacolarle o rallentarle?».
Ferrari indaga le sue ambiguità, non giudicando moralmente le sue scelte e i suoi comportamenti, cercando soprattutto di capire quelle che possono essere state le sue ragioni: «Lei ha paura per se stesso e per quelli a cui vuole bene. Vuole vivere perché sa che non si lotta contro un mondo che dedica tutte le sue forze a celebrare il culto osceno della morte offrendogli una morte supplementare, sia pure perfetta, ma opponendogli l'ostinazione imperfetta della vita».
Lui e gli altri fisici con i quali ha lavorato non riusciranno a realizzare il reattore nucleare e alla fine della guerra vengono arrestati dagli Alleati e tenuti nascosti nel villino di Farm Hall, dove vengono a sapere della bomba atomica su Hiroshima. È uno dei punti più tesi di tutto il romanzo, dove Ferrari impone un tono paradossale e drammatico al tempo stesso, mettendo in scena la loro grottesca fragilità, ma anche raccontando la disillusione di una utopia che riporta all'immagine iniziale sull'isolotto desolato, alla bellezza del loro progetto intuita «come la più eccelsa concepibile». Eppure «le conoscenze che veneravano sono servite a mettere a punto un'arma così potente da non essere più un'arma ma un'immagine sacra dell'apocalisse. Tutti ne sono stati gli oracoli e anche gli schiavi». Anche lui, Heisenberg, a cinquant'anni si rende conto di quanto la sua giovinezza sia scomparsa e di come «la nuova fisica, che ha contribuito a fondare ha fatto esplodere tutte le linee continue in una serie spezzata di avvenimenti discreti separati da oscuri baratri».