A chi fosse interessato a leggere Il principio (edizioni E/O), del francese Jérôme Ferrari, già vincitore di un Goncourt con un’opera precedente, vorremmo dare un suggerimento: leggetelo una prima volta tutto d’un fiato, come se fosse un romanzo. Un paio d’ore basteranno, perché sono poco più di un centinaio di pagine effettive. Poi rileggetelo con calma, cercando di decifrare e assimilare i concetti. Non è un libro facile, ma quando si riesce a «entrare» nella scrittura si è trascinati nella fascinazione dei temi che partendo dalla fisica quantistica coinvolgono la filosofia, il grande problema della neutralità – vera o presunta – della scienza, l’etica e l’estetica (ma siamo anche noi inclini a pensare che le due categorie tendano a coincidere). E la questione sui limiti invalicabili alla conoscenza: la teorizzazione della inconoscibilità come destino.
È lo spunto che dà il titolo al libro: Il principio evocato è quello, famoso, di
Werner Heisenberg, il principio di indeterminazione, che esclude si possa conoscere contestualmente la posizione e la velocità di un elettrone.
Ferrari accenna ai propri rapporti giovanili con la filosofia della scienza e segue Heisenberg – in parte immaginazione, il resto documentazione sul campo – dai tempi della prima giovinezza fino agli anni del Terzo Reich, con il fantasma di un olocausto nucleare sospeso sull’Europa e i dubbi sull’effettiva compromissione dello scienziato con il nazismo, cui cedette forse nell’illusoria speranza di una agognata «isola di stabilità» come punto di partenza per ricostruire dopo la catastrofe ciò che cominciava a essere distrutto. In corso di narrazione appaiono i padri della fisica del ’900, da Einstein a Planck.
Libro affascinante. Che non richiede particolari conoscenze scientifiche o filosofiche. Concetti forti, ma nessun concettualismo.