Davide, trent'anni e passa, è un figlio di papà cresciuto sotto la proverbiale campana di vetro. Peggio, è figlio dello spietato Glauco. Emblema del self made man, ormai in là con gli anni, il genitore è l'artefice di sfregi architettonici, condomini abusivi e attici con vista: il costruttore più ambizioso e noto, in una città dominata dalle sue geometrie inflessibili, dall'ombra lunga dei suoi fabbricati tutti uguali, da voci di corridoio che lo vogliono in cerca di un erede spirituale. Non è forse abbastanza quel figlio perdigiorno, che accumula lauree su lauree ma, passando alla pratica, è invece incapace di sporcarsi le mani e gestire progetti con il pugno di ferro? Lo sorprenderà, per una volta, facendo di testa sua. Decidendo di salvare dalla demolizione un palazzo del dopoguerra, perché lì ci è vissuta sua nonna e perché lì ci vive una ragazza che gli piace da morire, anche se lei ancora non lo sa. Una squadra di muratori salvati dalla disoccupazione potrà far miracoli con quel rudere sbeccato, fatiscente e kitsch? Sapranno fare piano piano, essere discreti, quegli operai che menano colpi di martello e passano mani di stucco – ex detenuti, ragazzi di borgata, disperati improvvisati – per non lasciare che l'incanto di un'inquilina speciale, Ursula, si infranga? La grazia del demolitore, titolo che a primo ascolto suggerisce poco ma che in realtà è un programma vincente di delicatezza e premura, è l'ultimo romanzo di Fabio Bartolomei ad arrivare in libreria. Uno scrittore, il buon Fabio, di cui non ho letto tutto, ma il necessario. Abbastanza da farmela desiderare, la sua ultima creazione, nonostante una trama da cui non sapessi bene cosa aspettarmi. Guidato dalla sua fan numero uno – e lei sa, quindi inutile citarla -, l'ho letto a scatola chiusa. Me lo avevano fatto conoscere, in ordine sparso, un racconto su angeli in cassa integrazione, in cui c'erano poche pagine e tante perle di saggezza; la barzelletta dal retrogusto amaro in cui un team male assortito ma appassionato (visto anche al cinema, in Noi e la Giulia) sfidava la camorra nel nome di un sogno impossibile. Anche qui, le maniche rimboccate, tutti gli inghippi del fai da te, una costruzione che ha il disperato bisogno di una rinfrescata. E, al contrario dei casermoni scadenti di Glauco e Davide, un Bartolomei che non perde lo smalto: colto, semiserio e spiritoso. Però l'ho chiamata in causa, la sua fan numero uno, nel momento in cui a me il protagonista e i suoi amici stavano sulle scatole, la storia non arrivava al dunque e ci vedevo grazia sì, ma uno spunto piccino nei vaghi piani del nostro demolitore. Ma questo urticante “giovin signore”, alla fine, metteva la testa a posto e abbandonava le sue smanie di protagonismo? Sarebbero arrivati sì o no la scintilla, il colpo di fulmine, lo snodo, in una vicenda che se non ti stanno a cuore determinati argomenti, a primo impatto, non ti coinvolge granché?
Per fortuna, i piani di Davide si rivelano, anche se lentamente, e tutto cambia. Si prendono le sue parti, in una faida familiare senza esclusione di colpi, e si trattiene il respiro insieme a lui quando finisce in casa di Ursula e non deve farsi assolutamente beccare. La ragazza in questione, infatti, è cieca e divide il suo modesto appartamento con Bau, cane guida che, per ironia della sorte (e del diabete), è diventato cieco anche lui. Un equivoco, e succede che il protagonista si trova bloccato in casa dell'inquilina: lei non sa della sua presenza e, a un certo punto, è troppo tardi per rivelarsi. Ursula non può vederlo e lui, all'inizio vagamente inquietante, ma poi romanticissimo, la spia alle prese con le occupazioni grandi e piccole, senza malizia alcuna; fa suoi i drammi di lei e, seguendola al parco comunale, prende nota degli ostacoli che incontra in strada e della sottile magia che i suoi gesti a tentoni sprizzano. Pensa un quartiere con gli occhi difettosi di un'amata che ignora la sua presenza e, anziché distruggere, decide così di apportare migliorie e cambiamenti. Per saperla felice, in quel suo buio perenne e pieno di poesia, le costruisce un isolato su misura: le siepi ordinate, le iscrizioni in braille sui corrimano e l'asfalto senza pozzanghere.
Vallo a spiegare a un padre che non ci vede lirismo, ma solo una disastrosa perdita di denaro. Vallo a dire ai tuoi amici di sempre – Massimiliano e Mila – che la donna della tua vita ti passa accanto e, puntualmente, ti ignora: per fortuna, la presenza di Geronimo, capocantiere che minaccia cinghiate a destra e a manca, aiuterà... La grazia del demolitore è un romanzo che mi è piaciuto tardi. Ma, quando ha iniziato a far breccia, mi è piaciuto molto. Fiaba introspettiva, surreale e leggerissima, con le figure squisite del cinema d'oltralpe e il temperamento della commedia all'italiana – sui balconi sventolano le lenzuola di Ettore Scola, ma le gag irresistibili e la stazza dei comprimari mi hanno fatto venire in mente Cochi e Renato, la buon'anima di Bud Spencer. Nel Paese in cui, se la terra trema, le case cadono come tessere di domino – e ci sono sfollati che piangono e il resto del mondo che, non troppo a torto, ci deride per i nostri mattoni di pasta frolla e gli appalti fraudolenti –, Bartolomei punge, spiana, leviga e smussa.
I nervi distesi, i sorrisi grandi, gli amori ciechi.
E l'umore che, di cuore, ringrazia.
Il mio voto: ★★★½