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La scienza dell'anima

Autore: Bruno Arpaia
Testata: La Repubblica
Data: 11 settembre 2016

Raccontare la scienza per capire la vita. Oppure: raccontare la vita più in profondità grazie alla lente della scienza. L'ultimo ad averlo fatto è stato lo scrittore francese Jéròme Ferrari, vincitore del premio Goncourt del 2012. Nel suo ultimo romanzo, Il principio, pubblicato in Italia da e/o, Ferrari è partito dalla vita di Werner Heisenberg per tentare di gettare una luce diversa sull'esistenza dello scienziato tedesco e su quella di tutti noi. Grande storia, misteri, scoperte rivoluzionarie, insolubili dilemmi morali e politici, filosofia e poesia sì sono infatti inestricabilmente intrecciati nel percorso del fisico di Wurzburg che, a soli ventidue anni, nei tre giorni trascorsi sulla brulla e ventosa isola di Helgoland, gettò le basi della meccanica quantistica, facendo crollare tutte le nostre certezze e riuscendo a gettare una rapida occhiata "oltre la spalla di Dio".

Intendiamoci; ll principio non è una biografia romanzata sulla vita di Heisenberg; è piuttosto un rispettoso monologo a distanza che il narratore rivolge allo scienziato scomparso, girando attorno all'idea che il suo famoso principio di indeterminazione, quello secondo cui non è possibile stabilire contemporaneamente e con esattezza la posizione e la quantità di moto di una particella, non s ia soltanto un principio fisico, ma possa forse rappresentare una metafora dell'esistenza. È vero: non sì possono applicare al mondo umano conclusioni valide per quello subatomico, ma, come spiega il narratore del libro, in fondo quella scoperta significa che «non raggiungeremo mai il fondo delle cose, non per una maledizione o per la debolezza delle nostre facoltà, ma per la ragione definitiva e radicale chele cose non hanno fondo". Così. se per Ferrari la vita di Heisenberg rimarrà per sempre "un busillis inestricabile" (verrebbe voglia di dire «indeterminabile»). forse lo sono anche tutte le nostre esistenze. E per comprenderlo fino in fondo abbiamo bisogno allo stesso tempo del romanzo e della meccanica quantistica.

Questa mescolanza tra letteratura e scienza non dovrebbe sorprendere più di tanto: qualunque cosa ne pensasse don Benedetto Croce, la scienza è, infatti, parte integrante della nostra cultura, ed è logico che l'arte se ne serva per aiutarci a capire noi stessi, la complessità delle relazioni umane, il nostro posto nel mondo, il modo in cui ci rapportiamo ai nostri simili e a ciò che ci circonda. Italo Calvino sosteneva addirittura che la vocazione profonda della migliore letteratura italiana (e non solo) consiste nel realizzare un ménage à trois fra scienza, filosofia e arte. Ma Calvino non era una voce nel deserto. Condividevano la sua idea gli ingegneri Gadda e Musil; e ne era acceso sostenitore il chimico Primo Levi, il quale, ne L'altrui mestiere, scriveva: «Sovente ho messo piede sui ponti che uniscono (o dovrebbero unire) la cultura scientifica con quella letteraria scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembra assurdo•.