«Dormivi per così dire in mezzo alle rovine, con la testa nelle stelle e nei sogni antichi, cullato dalle conversazioni di Baalshamin, dio del sole e della rugiada, con Ishtar, la dea con il leone», ricorda Franz Ritter – voce narrante di Bussola (Edizioni e/o, pp. 424, euro 19, traduzione di Yasmina Mélaouah) – nella sua notte d’insonnia lunga quanto un viaggio in Oriente. Alla vigilia del Festival di Letteratura di Mantova, dove sarà uno degli ospiti di spicco (giovedì 9), Mathias Enard – premio Goncourt nel 2015 – risponde alle nostre domande sul suo ultimo romanzo.
Nel suo libro, uno spazio rilevante è dedicato a Palmira. Si tratta di un omaggio alla Sposa del deserto o è un’evocazione funzionale al racconto?
Ho scritto il capitolo su Palmira prima che Daesh occupasse la città antica e uccidesse Khaled al-Asaad, conservatore del sito e del museo. Palmira rappresenta molte cose, tutte importanti nel quadro del mio romanzo. Innanzitutto è uno dei simboli della Siria, e in questo senso è stata utilizzata sia dal regime di Assad che di suo padre Hafez per la costruzione dell’identità del Paese dopo l’indipendenza. Questa è anche una delle ragioni per le quali Daesh ha esercitato la sua furia sui monumenti più emblematici della Sposa del deserto. Dagli anni Settanta del XX secolo le foto di Palmira campeggiavano su tutti i manifesti della propaganda nazionalista siriana che si opponeva alla visione assolutista dell’Islam. Al di là della bellezza estetica, Palmira è l’espressione di un crocevia di civiltà, tra il mondo delle carovane, i popoli del deserto e del Mediterraneo: un luogo di incontro che si sviluppò a partire da tutto ciò che circondava l’Oasi. È proprio questa cultura così originale, impregnata di numerose influenze – greche, romane, persiane… – a esser finita nel mirino dei jihadisti. La stessa storia di Palmira è un esempio di tolleranza fra popoli e divinità di diversa origine. In Bussola, Palmira è anche il luogo dove sono approdati personaggi dal destino sorprendente, come Marga d’Andurain, l’avventuriera francese accusata di spionaggio che diresse l’Hotel Zenobia – situato ai margini delle rovine – dal 1927 al 1936.
Nel capitolo dedicato a Palmira vengono inseriti, appunto, alcuni personaggi singolari che si sono recati nella Città carovaniera, ad esempio la scrittrice e fotografa svizzera Annemarie Schwarzenbach (1908-1942, ndr). Alla luce delle distruzioni avvenute tra agosto 2015 e ottobre 2016, come immagina i visitatori del futuro?
Lo Stato Islamico è stato cacciato da Palmira lo scorso marzo ma non sappiamo per quanto tempo il regime di Assad resterà in piedi. Non è ancora il momento per fare progetti. È necessario che la violenza diminuisca, che la guerra civile cessi. Quando il Medio Oriente ritroverà la pace, gli archeologi potranno intraprendere nuove ricerche e valutare l’opportunità di ricostruire i monumenti ridotti in macerie dall’Isis.
Con «Bussola» il lettore percorre differenti paesi – Siria, Turchia, Iran…– sul filo della poesia, della letteratura e della musica. L’attrazione fatale per l’Oriente che si manifestò soprattutto tra XVII e XIX secolo, è oggi un sogno retrò o il desiderio degli occidentali di «conquistare» sentimentalmente la cultura del Levante è ancora vivo?
I conflitti in atto e il terrorismo islamico oscurano l’interesse dell’Occidente nei confronti dell’Oriente, il quale resta – tuttavia – un universo affascinante. Ho addirittura l’impressione che i jihadisti che partono oggi alla volta della Siria per combattere rappresentino una versione post-moderna del sogno orientalista. La ricerca dell’assoluto e della realtà della fede, in fondo, sono legate ad un sogno, seppur «estremo». Anche il mito dell’archeologo-esploratore è ben radicato nell’immaginario comune. Penso poi ai numerosi profughi siriani che arrivano in Europa con il loro bagaglio linguistico e culturale, un’occasione che contribuirà a moltiplicare i contatti e a rafforzare i legami profondi che uniscono da millenni Oriente e Occidente. Non bisogna inoltre dimenticare che viviamo in un mondo globalizzato e in tale contesto l’incontro con l’altro dovrebbe avvenire in maniera naturale e permanente. Poi, certo, c’è il discorso della violenza. Come far cessare la violenza in Medio Oriente e in Europa è la vera questione.
Franz e Sarah, i protagonisti del suo romanzo, sono due orientalisti, per mestiere e nell’anima. Nella realtà, cosa distingue gli orientalisti del passato da quelli odierni?
L’Orientalismo scientifico dei secoli passati aveva grandi ambizioni. Nell’ansia di conoscere tutto sulle regioni del Medio Oriente, l’orientalista imparava perfettamente il turco, l’arabo e il persiano e si appassionava allo stesso tempo a discipline di diverso genere, come la letteratura e l’archeologia. Non c’era differenza fra l’essere orientalista e umanista. Oggi la comunità scientifica si è allargata – ci sono studiosi iraniani, siriani, turchi, giapponesi, nord-africani – ma c’è una specializzazione dei saperi che rende l’Orientalismo un campo di ricerca frammentato.
Nell’attuale situazione di caos in Medio Oriente, la letteratura può essere uno strumento politico per riavvicinare all’Occidente quei paesi narrati in «Bussola» e che i media ci mostrano ogni giorno più distanti dal nostro sentire?
Bussola è senza dubbio un romanzo politico, che cerca di andare oltre quella relazione superficiale col mondo che i media vogliono imporre. La letteratura permette di vedere più in profondità. È lo sguardo di un innamorato.