La prima volta che ti vidi era talmente imperfetto che pensai che nonna Tilde avesse ragione. Avrei dovuto mettere sotto la tua culla otto pugni di sale, bere acqua di pozzo e invocare le anime del purgatorio. Poi dire tre volte: «Maria Santissima abbi pietà di lui», affidarti alle mani del primo angelo in volo e assicurarti al collo una catena della buonanotte". E' un incipit doloroso e struggente quello de "Le streghe di Lenzavacche" (Edizio E/O, 15 euro) di Simona Lo Iacono, già candidato al Premio Strega ed escluso per un soffio dai finalisti. A parlare è una madre, una «strega» come scopriremo più avanti, a rivolgersi a un figlio nato sfortunato, con il segno della malasorte per i difetti fisici. "Pur squadernato da un vento di sfortuna, ti chiamai Felice, e decretati che quello era il primo passo per ribaltare il destino".
Siamo nella Sicilia del 1938, in un periodo in cui il regime propugna l'idea della perfezione fisica, il piccolo Felice non cresce facilmente, ma è un bambino sorridente, vivace, amato. Cresce in una famiglia particolare, composta da sole donne, mamma Rosalba e nonna Tilde. Sono discendenti di quel gruppo di donne che nel 1600 vennero definite, per l'appunto, «le streghe di Lenzavacche», ossia mogli abbandonate e rimaste senza uomo, spose incinte di un figlio della colpa, oppure figlie reiette e cacciate dalla propria famiglia, emarginate, guardate con sospetto. Una comunità che cresce e si sostiene in una casa ai margini del villaggio, vivendo una esperienza di comunità che è anche scoperta della natura e dei suoi riti, del suo sapere antico che poi diventa tradizione spirituale e letteraria ai tempi di Felice, Rosalba e Tilde. E il bambino è frutto dell'amore breve ma intenso di Rosalba con un uomo, un arrotino, giunto in paese, detto il Santo.
In paese arriva anche il nuovo maestro, giovane ma segnato da un passato non facile, segreto. "Avrà poco più di ventitré anni, il maestro Mancuso, si legge nel romanzo - non indossa le camice nere del regime, ha le unghie sporche di inchiostro e gli occhi stanchi delle veglie notturne. Tutti i segni di un lettore vorace, che spende la notte a inseguire le s t o ri e ". E poiché nella sua scuola ci sono solo nove bambini, quando ne servono almeno dieci, il maestro si mette alla ricerca dell'alunno mancante, che manco a dirlo sarà proprio Felice. Al maestro non interessano le storie sulla diversità fisica e i pregiudizi, né le dicerie sulla famiglia di " st r eg h e", d'altra parte lui stesso è discendente di una di loro, come scopriremo nel finale del romanzo, quando la narrazione diventa trascrizione letterale del testamento di questa antenata.
Una storia quasi magica, in una Sicilia dura e sospettosa, superstiziosa. Attorno a Felice, però, c'è tanto amore e il desiderio che cambi il suo destino: "Coltivo questa idea oltraggiosa che la letteratura possa fungere da corazza, che sia la coltre dei cento nodi, il manto del re nudo".