«MI CHIAMO Elena e sono una donna. Sono nata a Napoli e ho delle figlie». Domanda: lei scrive di professione? «No, scrivere non è la mia professione. Faccio un’altra cosa». Ma scusi, è sposata? Vive con suo marito? «Questa domanda non ha niente a che vedere con i miei libri». Evviva.
Un nuovo squarcio, piccolo ma significativo, si è aperto in quell’eccezionale nebulosa letteraria che è il “mistero Ferrante”. Un vero e proprio giallo editoriale, uno dei più pervicaci dei nostri tempi. Merito dello “Spiegel”, il principale e più autorevole settimanale tedesco, che - nel numero in edicola, in occasione della prossima uscita in Germania dell’“Amica geniale” - dedica alla scrittrice dall’identità sconosciuta un’intervista (rara, come si sa, e in questo caso enorme, lunga pagine e pagine) condotta nientemeno che dal direttore del giornale, Klaus Brinkbäumer, ovviamente via posta elettronica. Un evento sorprendente, quest’attenzione alla letteratura italiana da parte della stampa tedesca. Per non dire unica.
RICAPITOLANDO: tanto per cominciare, Elena Ferrante è una donna. Non era detto, in effetti, visto che nel cercare freneticamente la vera identità dell’autrice dell’“Amore molesto” e dell’“Amica geniale”, si erano fatti anche nomi di uomini, tra cui quelli di Domenico Starnone e di Goffredo Fofi. Poi, pare che abbia vissuto per un certo periodo a Torino, non si sa per quanto. È stata anche a Pisa, dove ha frequentato la Normale, ma questo era noto, tanto che qualcuno è arrivato a ipotizzare che dietro il suo pseudonimo si nascondesse la studiosa Marcella Marmo. Infine, ha delle figlie, la signora Elena. E per mantenersi fa un mestiere che non è quello della scrittura.
IL DIALOGO con Brinkbäumer è serrato. Quasi una partita a scacchi, alla quale lei non si sottrae. Perché è una combattente, Elena Ferrante. Quando lui le chiede dove è nata e se è una donna, lei risponde provocatoria: «E lei, dov’è nato? E soprattutto: lei è un uomo?». Il tema dell’identità nascosta e del perché dello pseudonimo è, ovviamente, centrale. Quando il direttore dello “Spiegel” le chiede se intenda seguire le orme di J.D. Salinger o se stia «giocando con i media», Ferrante usa parole non fraintendibili: «Non gioco affatto. La mia decisione è ben ponderata ed è definitiva. La fama, come la intende lei, non cambia niente delle mie motivazioni profonde, che nel corso degli ultimi 25 anni sono divenute sempre più chiare. L’attenzione riguarda i miei libri, ci sarà un apice e ci sarà una fine. Ho siglato un patto con i lettori, a questo patto mi attengo. Io sono convinta che i libri abbiano bisogno solo di se stessi e che essi si debbano cercare da soli i loro lettori. Questo è il motivo della mia assenza». E ancora: «A essere sincera, ho più fiducia in un’identità letteraria che in un’identità da anagrafe».
APRONO una piccola finestra sulla “vera” Elena Ferrante anche le parole dedicate alle figlie: «Tenere in equilibrio l’amore per loro e l’amore per la scrittura è stata un’impresa molto difficile. Ma la maternità è stata un’ancora per me, mi ha permesso di rimanere agganciata alla quotidianità. Ho regalato alle mie figlie molto tempo, e sorprendentemente loro hanno influenzato in maniera positiva il tempo che mi è rimasto per scrivere».
È probabile, peraltro, che la decisione di rivelare che Elena è il vero nome della Ferrante sia legata alla circostanza che così si chiama la protagonista dell’“Amica geniale”: «È stato Italo Svevo a dire che l’autore deve credere ai suoi racconti ancor prima dei lettori. Dare il mio nome alla protagonista mi ha aiutato a credere ancora di più alla storia che stavo raccontando».
Dopodiché, si scoprono altre piccole cose, della “galassia Ferrante”. Per esempio, Elena sta leggendo l’“Orlando furioso”, conosce piuttosto bene la letteratura tedesca (di cui apprezza in particolare Ingeborg Bachmann), ovviamente parla di Napoli («città profetica, che anticipa il meglio e il peggio del mondo») e non ha mai riletto nemmeno uno dei suoi romanzi dopo che sono usciti («è come con le persone amate quando sono morte»).
Infine, torna prepotente l’immagine pubblica del suo io. La domanda è netta, la risposta una lapide. «Teme il momento dello svelamento della sua identità?». «Per niente. Semplicemente, se accadesse, smetterei immediatamente di pubblicare i miei libri».