Nel ripercorrere quarant’anni attraverso la voce della protagonista Teresa, dall’infanzia alla vita adulta, Lorenza Pieri nel suo romanzo d’esordio Isole minori sceglie un nodo geografico che si fa esistenziale, l’isola del Giglio, luogo in cui la stessa autrice è cresciuta e di cui si era occupata nel memoir Molto grossa, incredibilmente vicina (doppiozero, 2013), dedicato ai tragici giorni del naufragio della Costa Concordia, avvenuto il 13 gennaio 2012. Una data cardine che ritorna nella prova narrativa, divisa in quattro parti tra il 1976 e il 2012, a chiudere il racconto delle vicende di una famiglia che al Giglio, per un albergo preso in gestione dal padre Vittorio, aveva un luogo e un impegno costante.
Si ritrovano lì la nonna Nonnalina, originaria del luogo, la madre Elena, detta La Rossa per l’impegno politico e la chioma fulva, la sorella maggiore Caterina e la piccola Teresa, che vede il gruppo come «una strana pianta di frutti donna». Un albero di cui il lettore vedrà maturare i caratteri che l’autrice sa ben gestire e definire, partendo da quello della madre Elena che in apertura del libro è a capo della protesta contro l’arrivo al confino di Franco Freda e Giovanni Ventura, allora imputati per la strage di piazza Fontana del 1969, nella piccola comunità. Un episodio reale, ben meno noto, che portò al blocco del porto e, in seguito, alla condanna paradossale di chi aveva protestato.
Le vicende della famiglia, seguite attraverso momenti chiave che costringono troppo i dialoghi ad affermazioni perentorie, raccontano poi l’amore e lo scontro con l’isola: la terraferma, tra Parigi per Caterina, Milano e Roma per Teresa, Orbetello per la madre, diventa il terreno di futuri non sempre certi, mentre l’isola rimane la boa di momenti chiave, ora felici ora drammatici, che porta con sé figure maschili che sembrano Penelope in attesa del ritorno delle donne: il padre Vittorio, leggero e introverso, e Pietro, l’amico d’infanzia di Teresa e poi primo fidanzato, marinaio.
L’apertura e la chiusura del libro toccano due episodi di cronaca isolani e il loro peso nell’evolversi della vita di Teresa è fondamentale: in un caso per una fantasia, che l’amante di alcune notti in albergo, un professore zoppo, sia stato uno dei bambini feriti nell’attentato milanese, nell’altro per lo shock della realtà la sera del disastro. Se dal primo deriverà la scelta di tenere il bambino concepito in quelle sere di passione, benché il professore si allontani presto senza mai saperlo, con il secondo, quando ormai il figlio Lorenzo undicenne è cresciuto solo con la madre, si chiude un’epoca. La notte della tragedia della Costa Concordia spezza definitivamente «l’anello che mi legava all’infanzia», con il panico nell’isola tra naufraghi, forze dell’ordine, accoglienza improvvisata, e al sorgere del sole quell’immensa mole dello scafo a cambiare il paesaggio reale e dei sentimenti. Una notte che segna il confine di un prima, ma che apre a Teresa la rotta di un dopo inatteso, forse fragile nel vento, ma lieto.