Sarà a San Felice Circeo a presentare il suo ultimo romanzo, ‘I pregiudizi di Dio’ martedì 2 agosto. Luca Poldelmengo, scrittore e sceneggiatore, ha confezionato una storia dai contorni torbidi e misteriosi.
Il commissario Andrea Valente è affetto da una malattia, questa malattia ha una propria identità e viene affrontata come fosse una persona, perché?
“Perché Andrea Valente deve affrontare una parte di sé che si è sempre negato, deve fare i conti con le proprie fragilità. Per certi versi l’epilessia che lo colpisce è la personificazione di questo suo lato cieco. Ora che sua moglie non c’è più lui deve farci i conti. Può fingere con suo figlio, può fingere con i suoi colleghi, quello che non gli è più concesso è fingere con se stesso. Il male è lì a ricordarglielo”.
Qual è il suo “confine”, quello da superare e quello che ha già oltrepassato?
“Bella domanda. Un confine che ho superato è quello di diventare padre, scusate la banalità, ma nulla come questo ha cambiato la mia vita, credo che nel romanzo si possa intuire. Quello che devo ancora superare? Quando ci arrivo ve lo dico, vedo qualcosa all’orizzonte, ma non ne sono ancora sicuro”.
La dedica del suo libro è “a chi rincorre”, ci spieghi il motivo?
“Sono uno scrittore atipico. Mi sono diplomato in un istituto tecnico industriale, la laurea l’ho conseguita a trent’anni, quando già lavoravo da dieci. Provengo da un quartiere difficile di Roma, da una famiglia modesta, dentro casa mia non ci saranno stati più di venti libri. Questo per dire che ho dovuto trovarla da solo la mia strada, che ho capito tardi quello che volevo dalla vita e per questo mi sono trovato a fare le cose in tempi e modi non proprio comodi. Io i miei sogni li ho sempre inseguiti, col fiatone e il coltello in mezzo ai denti. Ecco, per questo dedico il romanzo a chi rincorre, a chi non ha avuto in sorte un posto in prima fila, a chi vuole fare il notaio e ha il papà netturbino, a chi ci mette la tigna in un paese in cui la meritocrazia è troppo spesso una parola svuotata da ogni significato”.
Nel romanzo il commissario Valente afferma che non è mai colpa del caso se le cose accadono, c’è sempre un colpevole: lei ha lo stesso pensiero?
“Non così radicato, non mi piace dare la colpa o il merito al caso per quello che accade, ma certo è una componente della vita. Osservo però che esistono persone che non riescono proprio a concepirlo, specie in negativo. Hanno sempre bisogno di un colpevole, qualcuno da accusare, qualcuno con cui prendersela. Andrea Valente è uno di loro”.
I tre protagonisti del romanzo, due uomini e una donna, hanno un passato e molti segreti che riaffiorano rendendoli deboli: pensa che le esperienze di ognuno di noi possano minare il presente o renderci più forti?
“Ciascuno di noi è la somma delle decisioni che prende, delle esperienze che vive, di questo sono convinto. Prendo i miei tre protagonisti in un momento particolarmente complesso della loro vita non perché sia convinto che il passato debba per forza indebolirci, è la drammaturgia a chiedermi di raccontare i momenti salienti della vita di una persona per rivelarla. Devo vedere agire i miei personaggi in situazioni estreme della loro esistenza, solo così posso capire chi sono, e trasmetterlo al lettore”.
Il romanzo è diviso in tre parti, l’ultima è il momento delle scelte, quale è stato quello in cui ha capito che era il suo di momento?
“Di scelte nella mia vita ne ho fatte tante, come tutti credo. Dovessi indicarne uno, il momento in cui ho deciso di mettermi in gioco, di provare a raccontare le mie storie, con tutte le gioie, le delusioni, le rinunce che questo ha comportato”.
Il commissario Alfieri non è un sognatore, Luca lo è?
“Sì, ma un sognatore consapevole. Se c’è una cosa che veramente mi fa incazzare, forse la cosa più falsa che mi capita di sentire dire in giro è che “sognare non costa nulla”. Che enorme fandonia. Sognare costa infinita fatica, perché un sogno per cui non ci si impegni per provare a realizzarlo è un sogno che non vale nulla”.
Nei personaggi del libro si riscontra molta ipocrisia, nella vita reale ritiene che molti di quelli che la circondano siano comunque degli ipocriti?
“Credo che ciascuno di noi possieda una dose di ipocrisia, più o meno consapevole. Non sono un misantropo, ma ci considero esseri altamente imperfetti e profondamente egoisti”.
Luca Poldelmengo ha deciso di scrivere, prendendo in prestito una frase del suo romanzo, per combattere “la totale assenza di se stessi?
“Io ho deciso di raccontare storie, che sia per il cinema o per la narrativa, perché è la cosa che so fare meglio. Perché malgrado quello creativo sia un processo lento e faticoso mi dà soddisfazione come nient’altro. Amo le storie, sono la mia gioia e la mia maledizione”.