“…Avrebbe provato a darsi una chance per diventare un bravo poliziotto. Gli ultimi sviluppi avevano dimostrato che in quella sua prima indagine aveva commesso degli errori, ma avrebbe rimediato.
…..
-Un buon poliziotto direi di no, un bravo poliziotto forse.
-E qual è la differenza?
-I bravi poliziotti fermano i cattivi.
-E quelli buoni?
-Lo fanno nel modo giusto.”
Ho rimarcato questo breve brano perché mi aveva colpita, durante la lettura. Quando un noir, oltre che avvincermi per la vicenda “gialla”, mi fa anche riflettere sulle parole, sul loro contenuto morale, beh, allora ha raggiunto il suo scopo.
Luca Poldelmengo. Un nome nuovo per me, e non me ne vergogno, perché (come ho in passato avuto modo di scrivere) anche per un lettore compulsivo di ogni tipo di giallo-noir-thriller, è impossibile arrivare a tutto, conoscere tutti! Un fatto è certo: che ora non me lo lascio più scappare e mi leggerò gli altri suoi romanzi.
Una storia che inizia con il morto ammazzato, anzi, la morta, perché il cadavere trovato è quello di una donna, mamma e moglie, stuprata e uccisa barbaramente. Ci sono due figlioletti rimasti senza mamma. C’è un marito disperato, che però fin da subito non convince gli investigatori.
E’ proprio intorno a questi investigatori, che sono tre, che ruota tutta la vicenda. L’inchiesta lega infatti le vite di tre poliziotti: il commissario Andrea Valente, l’ispettore Marco Alfieri, il commissario Francesca Ralli. A parte l’immediata antipatia che nasce fra i due uomini, destinata poi ad attenuarsi, sembrerebbe che con tre persone ad indagare, tutto dovrebbe risolversi in un batter d’occhio.
Invece – e qui sta la parte per me intrigante – la situazione è complicata dai loro vissuti, dai rapporti interpersonali anche passati, da tormenti privati per vicende familiari irrisolte. Andrea abbandonato dalla moglie anni prima, senza mai averne compreso appieno le motivazioni e mai rassegnato e così via: al lettore scoprire il resto!
Durante tutta l’inchiesta, che riserva varie sorprese sul “maritino” inconsolabile, ma pure su persone al di sopra di ogni sospetto, i tre poliziotti combattono contemporaneamente doppia battaglia: sul fronte del lavoro e sui fronti personali, per risolvere i loro problemi, tirare fuori parole non dette o non comprese a suo tempo, accettare malattie di cui si vergognano. Così la vicenda diventa un tutt’uno, non si può più disgiungere il pubblico dal privato, la storia scorre su due binari paralleli in modo armonioso.
Questo, mi è piaciuto dell’autore: il non fermarsi in superficie; il saper raccontare una storia che va oltre il banale omicidio e l’indagine, ma darle uno spessore, dare una caratterizzazione ai personaggi. Infatti mi sono resa conto che ad un certo punto (spero che l’autore non se ne abbia a male) quasi mi interessava di più la parte attinente ai tre protagonisti, alle loro vite tormentate, che sapere chi avesse ucciso chi o in che modo.
Come se il giallo fosse stato solo un pretesto per raccontare una storia più profonda. Che dire, per concludere? PROMOSSO!