Roberto Tiraboschi è un eccellente autore e sceneggiatore. Lo si capisce leggendo le sue descrizioni dei luoghi, mai pesanti e noiose, al contrario minuziose, dettagliate, come una fotografia ad alta definizione di luoghi e cose. Descrizioni necessarie per raccontare di epoche lontane, di cui non abbiamo memorie visive se non nei dipinti. La bottega dello Speziale (Edizioni e/o), ideale prosieguo dell’opera precedente del Tiraboschi, La pietra per gli occhi (sempre ed. e/o), ci conduce nella Venezia del 1118, ma attenzione a definirlo semplicemente romanzo storico.
Di storico c’è l’epoca, l’ambientazione, il linguaggio, e non oso neppure immaginare la mole straordinaria di ricerca che c’è dietro. Una dovizia di particolari, una tale precisione nel descrivere la città lagunare ai suoi albori, gli odori, l’atmosfera cupa e malsana, che il lettore può certo pensare di aver fatto un salto temporale e di essere lì. O che almeno ci sia stato l’autore.
Dicevo che La bottega dello Speziale non può essere considerato solo un romanzo storico, perché la vicenda, i protagonisti, l’atmosfera e il ritmo mi ricordano tanto quegli hard boiled che amo tanto. Perché di noir si tratta. Potremmo, per farci un’idea dello stile, mescolare insieme e in giuste dosi un po’ de Il nome della rosa di Eco e un po’ dei sobborghi sudafricani di Meyer, con qualche concessione anche a Connelly. E sarebbe comunque un romanzo nuovo e unico nel suo genere.
Gli ingredienti ci sono tutti: l’investigatore solo e cupo (che in realtà è un ex amanuense pentito per amore) che ha problemi con le donne e le droghe; il mistero su un primo accadimento straordinario (il ritrovamento nella melma di una mummia di donna) che, in seguito, si collega ad alcuni fatti criminosi che toccano da vicino il nostro scriba (la scomparsa della giovane cognata del suo datore di lavoro nonché sua protetta e la scomparsa del giovane assistente di un fiolario – soffiatore di vetro); lo svolgimento dell’indagine con l’aiuto imprevedibile di un medico donna (siamo nel 1118, non dimentichiamolo), anch’essa coi suoi segreti e un passato da nascondere.
Anche qui, come nei migliori hard boiled, la narrazione parte con un incipit goloso e prosegue poi a macchia di leopardo, mettendo insieme pezzi di un puzzle in apparenza sconnessi ma che, man mano che ci si avvicina al finale, sembrano chiarire tutta la faccenda. Sembrano… perché l’abilità di Tiraboschi sta nel servirci qua e là dei “crescendo” ansiogeni che altro non fanno se non ingannare lo Sherlok Holmes che è in ognuno di noi. Bisogna arrivare all’ultimo frammento affinché il disegno sia completo e la soluzione evidente. Da mozzare il fiato…
Come per ogni noir che si rispetti, il ritmo narrativo inizialmente è lento. Confesso che in principio, nonostante l’incipit, non mi aspettavo assolutamente una lettura così affascinante. La maestria con la quale l’autore utilizza il linguaggio dell’epoca, mescolando sapientemente un dialetto veneziano antico col latino per alcuni dialoghi e un italiano dal sapore medievale per l’io narrante, è straordinaria.
I suoni, i rumori, gli umori di una Venetia sporca e alla mercé della laguna mi sono sembrati familiari, per me che conosco e amo questa città unica al mondo. Sembra quasi che l’avessero proprio progettata così già allora, per durare nel tempo anche con le sue brutture e disgrazie.
Un libro straordinario, dunque, un viaggio nel tempo appassionante, la scoperta di una città diversa ma sempre uguale a sé stessa, intrighi politici, misteri, profumo di spezie e di oppio, droghe e veleni, amore e sofferenza, oriente e occidente, questi solo alcuni degli ingredienti di una storia che sarà difficile dimenticare.