Quando i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò che in me è disorientato e confuso.
Rainer Maria Rilke
Lo stesso pensiero è quello che compie Teresa, voce narrante del primo romanzo scritto da Lorenza Pieri, “Isole Minori”, edito dalla casa editrice E/O che trascorre gran parte della sua giovinezza sull’isola del Giglio e che quando si sente in preda allo sconforto e al turbamento punta il suo sguardo verso la distesa sconfinata di questo mare così limpido e il suo animo si rasserena.
“Solo cinque tipi di rumori: acqua contro gli scogli, acqua contro scafi, motori a scoppio, grida di uccelli, voci umane”.
Ed ecco che l’isola si presenta in tutta la sua magnificenza e la natura si mescola con il caotico vociferare di gente che trascorre lì buona parte dell’anno.
È l’anno 1976 e gli isolani sono sconvolti da una notizia che giunge inaspettata: Franco Freda e Giovanni Ventura, neofascisti imputati della strage di piazza Fontana, dovrebbero soggiornare qui in custodia cautelare.
Ciò fa indignare tutti gli abitanti in particolare la Rossa, madre di Caterina e Teresa, animata da un fervore politico acceso e determinata a far retrocedere questi due criminali per far sì che la bellezza autentica del Giglio non venga intaccata.
Nel frattempo le due sorelle spettatrici animano la vita isolana con la loro spensieratezza, i viaggi in barca, le corse sul molo e la loro ammirazione nei confronti di un paesaggio incontaminato e Nonnalina, capostipite di una generazione che aveva fatto la guerra, mostra di essere ancora una donna caparbia che, rimasta vedova, ha saputo ricostruire un nuovo nucleo familiare, madrefiglia, ricominciando da zero e al padre Vittorio non resta che svolgere un ruolo marginale.
Il romanzo narra una storia tutta al femminile capace di catturare il cuore dei lettori nella quale donne coraggiose, volitive e caratterizzate da un profondo spirito d’indipendenza sono le vere protagoniste alle quali ci si affeziona sin da subito.
Sono pronte a lottare, a non cedere, a sfidare la vita a muso duro e ad allearsi se è necessario contro un mondo maschilista che le vorrebbe creature arrendevoli e nettamente inferiori.
Ciò però non accade e la loro forza consiste proprio nel non arrendersi mai e a rifugiarsi nei momenti di cedimento fra le braccia di questa famiglia che seppure imperfetta funge da aggregante e dipana i fili di qualsiasi matassa.
Isola del Giglio
Fra le varie protagoniste spicca Teresa, ragazza mite, insicura, che vive all’ombra della sorella già così emancipata, autoritaria e adulta: “Caterina e le sue storie, io il suo pubblico. Caterina continente, io isola minore”.
Quando inizia a raccontare e a raccontarsi possiamo quasi percepire le sensazioni che prova e quella voce un po’ rotta dall’emozione tipica di chi si appresta a vivere ogni fase della vita con passione e anche con timore per quel che sarà.
Alcuni eventi segnano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza fino ad arrivare all’età adulta e, grazie alle sue parole che scorrono fluide, è possibile notare la sua sensibilità all’interno della quale sogni, delusioni, amarezze per la separazione dei genitori e per la lontananza dalla sorella vissuta come qualcosa di inaccettabile, tanto da farla sentire incompleta, prendono vita non accorgendosi ancora di essere diventata una donna che non ha più bisogno degli altri per dimostrare il suo valore e che la metamorfosi è già compiuta.
In questo percorso evolutivo che cammina di pari passo con l’excursus storico caratterizzato da eventi tragici e luttuosi che hanno segnato la storia del nostro Paese e che parte dagli anni ’70 fino a giungere ai giorni nostri, precisamente al 2012 quando una sciagura si abbatte sul Giglio e una nave da crociera va alla deriva, è possibile imparare una grande lezione di vita che si riassume in un’unica parola, Resilienza, che invita tutti a trasformare ciò che di negativo ci accade in una risorsa da sfruttare a nostro favore così anche se la vita ci mette a dura prova, l’unica cosa che resta da fare è lasciarsi trasportare dalla corrente, vedere dove ci porta e lasciarci stupire ancora una volta.
STEFANIA MASSARI
Anch’io quando mi sentivo sommerso da pensieri ansiosi, inquieti e cattivi andavo di fronte al mare. E ci andrei sempre, ci vado appena posso. Ma molto meno, ovviamente, da quando a fine 1997 da Livorno mi sono trasferito a Milano per fare il giornalista.
Ci andavo per tutto l’anno. Anche e soprattutto d’inverno quando il mare ti dà il suo meglio, nonostante sia pure un classico livornese che ama parecchio abbronzarsi d’estate.
Il mare è lo stesso di Isole minori (clicca qui per comprarlo online). E, pur conoscendo il Giglio, io quel nostro Tirreno lo guardavo di solito dall’altra parte, quella dal “continente”, a pochidsimi chilometri di distanza, conoscendo perfettamente i 5 rumori di Lorenza Pieri. In mezzo a quella stessa gente.
Donne e uomini resilienti davvero da quelle parti. Parte della miglior parte d’Italia, che ha resistito, soprattutto le donne, sì, a una storia che spesso spesso non ci è piaciuta, fino a Schettino, certo, ma vedendo passare personaggi molto più oscuri.
Restando ad ascoltare il mare, il nostro cuore e i nostri pensieri e a fare quello che dobbiamo fare, senza cambiare.
Continuo a seguire il filo emotivo di Isole minori e di questo tuo post particolarmente perfetto nella sua delicatezza, Stefania. Non ero ancora nato ai tempi di Piazza Fontana, ma da bambino, sentendone parlare spesso, chiedevo spesso cos’era successo. Mi davano una risposta un po’ raffazzonata, pensavo che lo facessero per offrirmi quella più adatta per un bambino. No, era proprio l’unica a disposizione. Quasi 47 anni dopo quella strage, che ha segnato poi una scia ulteriore di sangue nella storia d’Italia, da Pinelli a Calabresi, la spiegazione raggiunta tra processi su processi e inquinamenti indecenti delle prove non si è evoluta molto da quello stadio. Anzi.
Se l’Italia ha resistito comunque, e resiste, resiliente a tutto, lo dobbiamo soprattuto alla gente del tipo umano raccontato da questo libro. Lo dobbiamo soprattutto alle donne, appunto, che sono andate avanti nonostante tutto a fare quello che dovevano fare ascoltando mente e cuore. Lo dobbiamo in particolare alle isole minori come Teresa.
Anche per questo mi è sembrato quasi obbligatorio partire con un’immagine di Speriamo che sia femmina di Mario Monicelli del 1986. E chiudere con una dedica: alla mia bisnonna Lina, eroica postina livornese che è andata avantim sempre, nonostante tutto, tirando su una famiglia anche da sola, fino a 94 anni.