Quando, non molti anni fa, scoprii che il prete che aveva fondato e diretto il coro in cui iniziai a cantare da bambino era lo stesso sacerdote sulla cui figura era stato modellato il personaggio di Don Camillo, la sorpresa fu grande. Don Rino (Davighi), parroco della cattedrale di Fidenza e direttore della corale "San Donnino Città di Fidenza" era Don Camillo? Certo, i modi burberi (con lo sporadico ma benevolo manrovescio a carezzare le guance di qualche corista disattento) e il sorriso bonario c'erano, come pure la incrollabile fede politica di centrodestra. Insomma, democrazia cristianissima per un'epoca che oggi sembra lontana ere glaciali.
Il Don Camillo di Giovannino Guareschi, dicevo, ma mi viene subito in mente l'altro prete per anonomasia nella storia della letteratura italiana: il manzoniano Don Abbondio. Provate a immaginare un matrimonio tra I promessi sposi e Mondo piccolo, dategli una spruzzata di peperoncino piccante, ancorché digeribilissimo, e avrete L'annata memorabile del Beaujolais (traduzione di Sestilio Montanari, pagg. 364, euro 18, edizioni e/o) di Gabriel Chevallier, uno dei grandi capolavori oscuri della letteratura europea del secolo scorso. Fortuna vuole che, di quando in quando, all'editore illuminato di turno venga in mente di rispolverarlo e di metterlo nuovamente a disposizione del pubblico: la sua assenza sarebbe un piccolo, imperdonabile delitto editoriale.
Ma chi è Gabriel Chevallier? Nato a Lione nel 1895, mostrò ben presto il suo talento di formidabile umorista e, dopo un paio di opere passate quasi inosservate, ottenne un enorme successo nel 1934 con L'annata memorabile del Beaujolais (pubblicato per la prima volta in Italia sotto il titolo di Peccatori di provincia), tradotto in molte lingue e portato sul grande schermo dal regista belga Pierre Chenal nel 1948 con il titolo di Clochemerle. Al fortunato romanzo se ne aggiunsero altri due (Babilonia e Che succede a Clochemerle?) per completare una trilogia di successo. Chevallier morì a Cannes nel 1969.
Senza voler svelare nulla al lettore - che scoverà tra le pagine innumerevoli siparietti organici e strabilianti e che, con ogni proababilità, verrà sorpreso da parenti e amici mentre si sbellica dalle risa, incapace di riassumere un contegno decoroso dopo l'ennesima scenetta pepata o l'ultimo geniale gioco di parole per descrivere situazioni osé e atteggiamenti lascivi - eccovi in sintesi gli elementi che dovrebbero intrigarvi e spingervi a mettere le mani su questo libro prezioso, quasi imprescindibile per chi adori l'umorismo. Attenzione: umorismo, non facilità pecoreccia di certi libri che finiscono per essere caricature mal riuscite di una realtà finta, sopra le righe.
Il giacobino e paffuto Piechut, una sorta di Peppone ante litteram, è il sindaco di Clochemerle, borgo della provincia del Beaujolais, in cui si produce l'omonimo vino. In vista delle imminenti elezioni che spera lo possano proiettare verso traguardi più illustri - come un seggio al parlamento nazionale - decide di erigere un'opera di pubblica utilità in grado di consegnarlo alla storia e di ricoprirlo di gloria. Con l'aiuto dell'ambizioso Tafardel, un maestrino saccente e pusillanime dalle aspirazioni di gran lunga superiori alle sue modeste capacità, opta per un vespasiano in cui le vesciche degli assidui bevitori del paese possano scaricare litri e litri di residui di Beaujolais senza imbrattare strade e muri. Di un orinatoio pubblico a Clochemerle si sente la mancanza da anni. Peccato che il punto in cui sta per essere edificato sia a ridosso della chiesa retta dall'abate Ponosse, un novello Don Abbondio, per definizione dello stesso Chevallier, che di pane e Manzoni pare essersi nutrito, filtrandone l'eleganza attraverso le pagine del racconto popolare. Ponosse sarebbe incline a fare finta di niente se la zitellona di paese, Giustina Putet, inacidita dalle scarse grazie di cui è stata fatta oggetto da madre natura e auto-innalzatasi al ruolo di moralizzatrice dei costumi locali, non facesse pressioni sul curato e non scatenasse un putiferio che spaccherà il paese in due, suscitando le ire della bella sporcacciona, Giuditta Toumignon, titolare col marito dell'emporio "boggiolese", la donna più bramata, tanto quanto della baronessa di Courtebiche, madre-padrona non più nel fiore degli anni ma che ha sostenuto tante battaglie a letto e che continua a tenere in scacco il parroco attraverso ricatti non troppo velati. E qui mi fermo, perché la vicenda prende pieghe inaspettate e procede speditamente verso colpi di scena spassosi e un finale a sorpresa. Sarebbe un delitto togliere al lettore il piacere di scoprirli da sé.
L'annata memorabile del Boaujolais è un romanzo profondamente francese, da alcuni accostato per stile e intenti a Rabelais, Molière e Voltaire. A me viene in mente pure l'ironia de I tre moschettieri di Alexandre Dumas. La stessa Joanne Harris, anglo-francese, deve averlo avuto bene in mente mentre scriveva il suo grande successo Chocolat. In fondo, è l'ipocrisia di paese a farla da padrona, con la costante dicotomia tra nobiltà e plebe, religiosità e secolarità, peccato e santità. Chevallier è maestro nel mettere alla berlina le falsità di una società che sfoggia con orgoglio coccarda repubblicana, ma che non è riuscita del tutto a fare piazza pulita di servitù feudali e regalie ecclesiastiche. "Il castello e la curia, la nobiltà e la chiesa, debbono marciare tenendosi per mano, non lo sapete?" catechizza il timido Ponosse la baronessa di Courtebiche definendolo un "piccolo curatuccio di villaggio". Qualcun altro al curato dice: "Una volta che saremo d'accordo davanti al notaio, ci metteremo d'accordo anche col buon Dio".
Considerato che questo romanzo è uscito nel 1934, mi risulta difficile ritenere che non abbia fatto parecchio scalpore, bacchettando in egual misura bigotte e farisei, ignoranti e sapientoni, affrontando tematiche scabrose - per quanto con la tipica vis compica di Chevallier - come la pedofilia ("Il vecchio si interessava delle ragazzine in un modo benevolissimo, tale però che che non si può chiamarlo filantropico"), la corruzione, l'ambizione sfrenata, il tradimento coniugale. Anzi, guardare sotto le sottane e le lenzuola sembra essere stata la principale benzina della creatività di Chevallier. Chevallier non si sottrae dal compito ingrato di criticare ferocemente l'insensatezza della guerra e la stupidità di certi slanci militaristi mai sopiti in Francia. Alcuni critici ne hanno in qualche modo sminuito l'elegante ironia in quanto eccessivamente diretta e lasciva, ma la forza travolgente della sua prosa, peraltro resa magistralmente nella traduzione originale di Sestilio Montanelli, dovrebbe far scendere a più miti consigli chi abbia espresso giudizi così affrettati.
L'annata memorabile del Beaujolais guarda caso ambientato nell'estate del Beaujolais, poco prima della ricca vendemmia, può essere il perfetto antidoto all'idiozia estiva che impera su larga parte dei mezzi di comunicazione del nostro tempo, un modo intelligente per sorridere e pure per ridere di gusto, nutrendo per una volta anima e mente.