Sicilia, 1938. Nello sperduto paesino di Lenzavacche tutti sanno tutto di tutti e a nessuno sfugge la strana famiglia composta da nonna Rosalba, giovane madre del piccolo Felice ‒ in cui nome si fa beffa della sorte arcigna, che lo ha voluto gravemente disabile ‒ e da nonna Tilde. Il corpo imperfetto del bambino è un’offesa al mito fascista di perfezione e prestanza fisica. Il regime vuole famiglie numerose, regolari, rispettabili. Tilde e sua figlia sono donne senza uomini, né matrimoni, scellerate ed eredi di una stirpe di indovine e streghe, la loro casa è assediata dalle dicerie popolane. Felice, invece, è circondato dalla magia di un amore che viene da lontano, dalle generazioni di donne che hanno preceduto Rosalba e Tilde, che lo proteggono dal male del mondo con una dedizione e una caparbietà che si traduce nel volto sereno e allegro del bambino, nella sua propensione a conoscere il mondo, che lo rifiuta, sputa per terra e fa gli scongiuri quando lo vede, nella sua determinazione a comunicare nonostante riesca solo ad emettere suoni incomprensibili ai più, ma non alle due donne e al farmacista, il dottor Mussumeli, la cui arte di speziale si unisce ad una spassosa e travolgente antropofilia. Il mondo là fuori pensa che sia indecente esibire al pubblico una creatura così imperfetta. Nonna Tilde pensa, invece, che ogni mancanza del nipote, sia un beneficio: “ti invidio, Felice, nipote sciancato e senza angeli”, gli dice di continuo. Felice è un abitante dei libri, un cittadino delle storie, quelle che sua madre legge per lui. Sono stati proprio i libri a fare incontrare Rosalba e suo padre, l’arrotino dall’inflessione colta e un libro nascosto tra gli arnesi, particolari che affascinarono Rosalba assai più del volto dell’uomo. Una passione senza tempo né parole, che non fossero le righe dei libri che leggevano nei loro incontri. Di lui, Rosalba non conosce il nome, né sa da dove venisse. Ma ora non c’è più. A Lenzavacche, intanto, è arrivato un nuovo insegnante dell’Elementare, è il maestro Mancuso. In paese lo considerano un tipo strampalato, ma i ragazzi lo adorano perché legge loro i libri e racconta storie avvincenti, non declama la potenza del regime, non rispetta il programma del Ministero dell’educazione nazionale, è un sovversivo…
Sospesi tra la realtà cupa e repressiva dell’epoca fascista e il mondo magico e rassicurante dei riti e delle formule per scacciare la mala sorte, i personaggi del romanzo sono figure ancestrali, che custodiscono storie e tradizioni senza tempo, la forza e il mistero di una Sicilia che sta scomparendo; necessità e provvidenza sono i codici per decriptare il senso degli eventi. Il libro è un coro di donne, cui l’autrice dona voce attraverso il racconto in prima persona di Rosalba; in lei si condensano le essenze del profumo di donna: l’amore oblativo, la passione carnale, il coraggio della verità e la forza di contrattare con la realtà e di non tirarsi indietro. Rosalba, come Tilde prima di lei, conduce la sua pacifica battaglia contro una morale asfittica che respinge il diverso. Come le due donne, anche il maestro Mancuso incarna la diversità, la disobbedienza come dovere morale dell’essere, la cui consistenza è inversamente proporzionale alle certezze. È una penna talentuosa quella di Simona Lo Iacono, magistrato in servizio per il Tribunale di Catania, appassionata di diritto e di letteratura, la cui funzione considera assimilabile al “manto del re nudo”. Il suo stile intriso di note poetiche e gravido di suggestioni appassiona e commuove.