Da Agira, paese suggestivamente arroccato sui monti Erei, arriva un’inquieta stirpe di streghe, vaga per la Sicilia lungo un tempo ellissoidale e si ferma a Lenzavacche, in piena val di Noto: qui Tilde partorisce Rosalba e Rosalba concepisce Felice “sbalestrato e sognatore” in una notte di luna, pelle e libri.
“I libri si impilano ai miei fianchi quasi senza chiedere permesso, sono fantasmi taciturni e audaci. Anche tu sei così, Felice. Ne avverti subito la presenza. Non so come è accaduto, ma sin dalla prima volta ho capito che se c’è un mondo del quale sei cittadino indiscusso, è quello delle storie”
Il romanzo “Le streghe di Lenzavacche” di Simona Lo Iacono (edizioni E/O, 2016, tra i dodici finalisti al Premio Strega) restituisce il genere alla sua origine. L’entrelacement disegna il triangolo di calviniana memoria: una forza sentimentale (Felice e le sue donne streghe), una forza morale (la Diversità come Libertà) e una forza storica (il Fascismo). Se ci sono le streghe, il verosimile si sfilaccia dentro la magia: nasce una favola dai mille contrasti di ritmo e di stile, una favola dolorosa e ironica, delicata e barocca. Le parole nel mondo di Lenzavacche sostituiscono le erbe degli intrugli delle streghe, l’intruglio di Tilde per il nipote mongoloide.
“Camomilla e cardamomo, per il sonno. Aloe e valeriana, per la fantasia. Poi basilico, fiori di ibiscus, inflorescenze di cotone, per la buona coscienza….Sbraitava nomi astrusi-escolzia californica, passiflora incarnata, melissa officinalis- per concludere infine che eri refrattario alla natura, all’insalata e alla magia…..Fino a che non mi venne l’idea di leggerti un libro”
Le streghe di Lenzavacche
Già i libri! Quei contenitori di parole che fondano l’esistente dentro e fuori di noi. La parola è un incantesimo, una pozione fatta di inchiostro o di voce, versata su un foglio o affidata all’aria. Le parola: scarabocchio di senso, miscuglio alchemico, malìa di streghe capaci di mettere a soqquadro il male.
“Era sempre stato così per le streghe. […]C’era un ordine nella natura e nel creato al quale collaboravano, pacificamente, seguendo la rotta delle stelle cadenti, inginocchiandosi alla luna pellegrina”
Le streghe di Simona Lo Iacono sono sacerdotesse della parola. Hanno sì il dono della profezia e dell’intuito come Tilde e Deodata ma sono di più donne letterate, eroine instancabili del diritto alla cultura come Corrada e Rosalba.
“Si fece meno vereconda e principiò a narrare motti e historie, fu colta da famelica voglia di libri, e cum summa prostrazione dello padre mio, volle farsi letterata”
E sono tutta questa stirpe di streghe, femmine di impareggiabile passione. Quando sono amanti, quando sono madri. Nell’amore le streghe mettono tutto: le loro erbe, gli amuleti, l’antica arte del ricamo, le danze con cui sollevavano i giorni di tristezza delle persecuzioni. Domina la purezza selvaggia, sanguigna, ancestrale, totale di Rosalba che ama il figlio Felice tanto da vincere la battaglia dell’emarginazione e del pregiudizio in un tempo drammatico della storia d’Italia (il fascismo del decennio dal 1928 al 1938). Rosalba è l’ultima di una stirpe di quaranta streghe che non mangiano i bambini come le lamìe della mitologia, antenate di tutte le Medee. Sono streghe queste, che proteggono i bambini. Anche quando sono oggetti sghembi d’amore. Come Felice, nato diverso, che la madre Rosalba volle già ossimoro: infelice per natura Felice per amore. Felice è antifrasi rivelatoria di una dimensione esistenziale che coincide con la parola.
La Storia e i piani temporali della narrazione partecipano di tanta magia. C’è un secolo il Novecento e dentro il Novecento c’è il richiamo di due passati -il Seicento e l’Ottocento- e c’è il futuro sotto forma di predizione e di augurio. Corrada, seppellite le sue amiche stuprate dai maschi di Lenzavacche nel 1650, acquista capacità divinatorie e vede il destino suo e delle sue eredi. La Storia ha un tempo ciclico. Felice di Rosalba realizza un omonimo antenato incompiuto e tutto si ripiega nel passato e nel futuro. Il presente nella narrazione è il fascismo, contesto simbolico: rinnova l’oscurantismo persecutore del ‘600, propaganda sanità e tradizione (mentre Felice era malato e figlio illegittimo), esprime proclami, parate e motti. La ciclicità del Tempo si sostanzia nel disordine dei piani della scrittura, dove gli elementi narrativi puri cedono il posto a quelli epistolari e giuridici.
libro streghe
“Le streghe di Lenzavacche” è un inno gioioso, un carme dedicato alla potenza della scrittura, dei libri, della cultura, del piacere di leggere. La parola scritta, letta, creata dalle ombre e dal fiato, dal fumo e dagli sputi, cantata dalle streghe e cuntata dal maestro al mercato, passata nei secoli dal menestrello allo scolaro e al suo maestro, è la parola delle leggi giuste e ingiuste, è il cavillo giuridico e il formulario del farmacista e delle streghe. La parola, i libri, le storie dentro i libri sono Libertà.
“Le streghe di Lenzavacche” celebra l’epifania della parola dalla sua creazione al suo valore etico, erotico, politico. La creazione, l’abbeccedario: una giostra di consonanti e vocali. Felice vi soffia sopra, la forza del soffio si ferma sulla lettera desiderata e si formano le sue parole, fluttuanti come le farfalle. Felice “muto alle parole del mondo” crea la parola e conquista il suo posto nel mondo: un banco di scuola. Il valore erotico è quasi una citazione da Garcìa Marquez: nella camera da letto, in cui Rosalba faceva l’amore con il padre di Felice leggendo tra un amplesso e un altro, i libri “crescevano intorno a noi come fusti d’albero secolari”; l’invito gaudente del farmacista Mussumeli a sputare sulle lettere per farsi uomo, perché quando arriverà l’eccitazione per la donna “Felice, le parole ti serviranno”. Il valore etico e politico che la scrittrice fissa dentro la Storia e dentro la vicenda del maestro Mancuso
“ Io squasso le certezze di questi bambini….Non gli ho insegnato a scrivere, ma a credere che in quei segni si celasse la verità…..Non ho mai pensato che la cultura servisse alla forza, ma alla compassione, e non ho cercato nei libri il coraggio, ma la fragilità umana”
“Le streghe di Lenzavacche” è una squisita e sapiente pozione di scrittura. Squisita di immagini
“L’aria di Sicilia è un misto di umori disordinati e aggressivi, effluvi innominabili che parlano come voci e ti trascinano con la potenza di un istinto che qui si risveglia e si scopre eccitato da una foresta di voglie indecenti”
Sapiente per la mistura di immediatezza dell’ispirazione e riflessione sulla parola che si fa testo. Il romanzo si dispiega tra narrazione, lettere e fogli testamentari, tra scrittura moderna e scrittura seicentesca. Un pizzico di stregoneria forse è anche della scrittrice?
“Ma a volte presagisco, alle altre interpreto, altre ancora leggo. La realtà e gli uomini sono come libri, e io sono abituata a sfogliare pagine, a prevedere finali, a seguire tracce. Chi legge diventa indovino, affina le emozioni, tende i sensi. A volte mi hanno detto maliarda, alle altre sgarrusa e strega, ma io so che la mia capacità divinatoria non è magia. Solo abitudine alla lettura”