Simona Lo Iocano è la brillante autrice siciliana di Le streghe di Lenzavacche E/O Edizioni (Recensione ZEST qui), candidato nella dozzina al Premio Strega 2016, presentato da Paolo Di Stefano e Romana Petri.
Le abbiamo rivolto qualche domanda e la ringraziamo per questa intervista.
Le esperienze della vita ci aiutano a determinare una nostra idea di benessere, qual è la sua?
Io ho un’idea di benessere interiore, che influenza tutto ciò che scegliamo, facciamo, viviamo. E’ dal nostro “centro”, dalla sua “salute spirituale” che dipende il modo in cui stiamo al mondo. Quanto più la nostra anima è aperta, colma di benevolenza, di partecipazione alle gioie e ai dolori del mondo, tanto più si colma, e tanto più si realizza il nostro benessere interiore.
Nel suo ultimo libro, Le streghe di Lenzavacche, si parla anche dei libri e della lettura, un libro può essere importante nella crescita individuale e può costruire la nostra visione del mondo… Quali sono stati determinanti per lei e perché?
Ogni libro amato è stato determinante, ha contribuito a “costruirmi”, a “impastarmi”, a rendermi me stessa. Ma ce ne sono stati di folgoranti e fondamentali. “Il diario di Anna Frank”, “Le memorie di Adriano”, “L’sola di Arturo”. Amo i libri che parlano della scoperta della vita, che fanno di essa un viaggio. Mi piacciono gli scrittori che affondano il naso e le mani nelle pieghe più dolenti ma anche più incantate, dove l’uomo soffre ma – anche – si risveglia, e dove si forma, si plasma e resuscita attraverso la propria esperienza.
In questo libro, è evidente un legame intenso con il territorio, una narrazione che pesca dalla tradizione popolare, la magia, i racconti tramandati, le dinamiche di paese, tutto questo attiene ad una visione di vivere sostenibile fondata sull’identità culturale… cosa ne pensa?
Sono convinta che l’identità culturale vada salvaguardata come un patrimonio prezioso, perchè è la nostra memoria, e senza memoria non può esserci storia, nemmeno storia personale. La Sicilia, poi, è un vero cumulo di tradizioni, leggende, miti, personaggi. Ogni epopea familiare in Sicilia è – anche – un modo per sentirsi parti misteriose e vibranti di una piccola comunità, che annoda il passato al futuro e si fa testimone di un passaggio da una generazione ad un’altra. A casa mia si fa un gran parlare degli antenati, li si cita sempre con un sorriso o con un sospiro di nostalgia. Io sono cresciuta con la sensazione di essere circondata sia dai vivi che dai morti che mi avevano preceduto, e di essere collegata sia agli uni che agli altri dalla narrazione. Erano le storie, infatti, cioè le storie delle loro gesta, a restituirmeli ancora in vita. Quindi ho sempre pensato che fosse la letteratura a far stringere alle famiglie vincoli d’amore.
Allo stesso modo del testo ci colpisce l’originazione da un modello di comunità al femminile che ricopre ogni ruolo dall’organizzazione domestica all’educazione al sostentamento, e questo in effetti è frequente storicamente al sud… ci dice la sua opinione in relazione alla partecipazione attuale delle donne nella società moderna?
Credo che le donne abbiano faticosamente raggiunto traguardi importanti, sia nel lavoro che nella società, ma che siano ancora molto fragili e bisognose di interventi in loro sostegno. Qui in Sicilia il tasso di disoccupazione è altissimo, e tocca soprattutto le donne, penalizzate dalla maternità e dalla necessità dell’accudimento verso i figli. Moltissime sono precarie, lavorano in nero e senza diritti, il più delle volte quando i figli hanno raggiunto un’età tale da consentire loro di svolgere un’attività lavorativa. C’è molto da fare per aiutarle ad essere se stesse e mettere a frutto le proprie capacità.
Come nascono le storie che racconta? Che tipo di scrittrice è? Scrive di getto, lascia decantare il testo ad esempio?
Scrivo sempre perchè accade qualcosa, un guizzo o una suggestione che rende necessario il viaggio. Mi addentro nella nuova storia sempre con grande senso del mistero, perchè so che stupirà me per prima. Scrivo di getto, ma poi rivedo sempre moltissimo, intervengo mille volte sulle singole parole, limo e correggo quasi fino al minuto prima di andare in stampa! E poi sì, lascio che dopo la stesura passi un po’ di tempo in modo da essere obiettiva ed intervenire sulla mia scrittura con moltissima lucidità, senza nessuna pietà su eventuali eccessi.
Lei, oltre a scrivere, è Magistrato, un lavoro impegnativo, come concilia le due vocazioni?
Faccio moltissimi sacrifici per arrivare a tutto! Ho anche un figlio di 16 anni molto vivace e sognatore! Ma nonostante la fatica e le levatacce alle cinque del mattino affronto ogni impegno con molto amore, e so che ogni singolo elemento della mia vita – lavoro, famiglia, scrittura – non potrebbe mai esistere senza il sostegno dell’altro! L’amore comunque è il vero motore di ogni esperienza. Non potrei affrontare la mia giornata senza fare, al contempo, un’esperienza d’amore per ciò che vivo e faccio.
Dicono i dati in Italia che si legge poco, crisi dell’editoria o crisi culturale?
Crisi culturale, leggere è una abitudine dell’anima e dello sguardo, e va acquisita attraverso un’educazione sia familiare che sociale.
Ha già un nuovo progetto o si gode il meritato successo?
Io non mi fermo mai, in verità, perchè ho moltissimi progetti! Adesso sono impegnata con le presentazioni del romanzo e con la sua messa in scena in forma teatrale con la mia compagnia di detenuti. Faccio volontariato presso il carcere di Augusta e lì ho creato un gruppo di attori/detenuti con i quali metto in scena opere letterarie e pièce teatrali scritte dai detenuti medesimi con il mio aiuto. E’ un modo per attuare l’art 27 della nostra Costituzione che parla di “rieducazione” della pena. Io attuo la rieducazione attraverso la letteratura, la lettura, il teatro. L’arte rinnova l’anima e la guarisce, conferisce capacità valutativa sul proprio passato, infonde speranza e – soprattutto – mette ali per volare lontano. Niente di più necessario per chi vive dietro le sbarre.