Torna in libreria, quasi vent’anni dopo la prima uscita, il bellissimo romanzo di Lia Levi Tutti i giorni di tua vita (Roma, Edizioni e/o, 2016, pagine 343, euro 18). È la storia drammatica di una famiglia ebrea, i Volterra: il padre avvocato, Valfredo, la madre mite e protettiva, Eliana, due figlie ragazze tanto diverse non solo per temperamento ma per scelte e destino. La luminosa e appassionata Regina, che avrà il coraggio di opporsi al regime scegliendo l’impegno antifascista e la docile e passiva Corinna, che coltiverà fino all’ultimo l’illusione di riuscire a sottrarsi a quell’insensata violenza. Accanto ai protagonisti una schiera di parenti che si affacciano spesso nelle loro giornate, una presenza affettuosa che alimenta quel piccolo mondo di quiete e di affetti familiari. E tanti personaggi di contorno. La portiera Ersilia, un’attrice protetta da un gerarca, una sarta innamorata di D’Annunzio e di Mussolini e su tutti una domestica ingenua e allegra come il suo nome, Tarantella, che al momento opportuno si rivelerà generosa e accogliente. Un racconto corale perfettamente orchestrato che dagli anni Venti giunge all’ultimo decennio del Novecento, ma dove il cuore della narrazione coincide con il periodo delle leggi razziali e della persecuzione nazifascista che tolgono ai Volterra, come a tutti gli ebrei, ogni diritto, anche quello di esistere. Un prima e un «Dopo», come recita il titolo del capitolo conclusivo, dove niente può essere uguale alla vita che è stata.
Sullo sfondo di una Roma livida e feroce e di un paese che scivola inesorabilmente verso la catastrofe, tra sentimenti contrastanti — incredulità, paura, speranza che il regime possa sgretolarsi — si consuma il dramma della famiglia negli interni della loro casa. Un appartamento al piano rialzato in una palazzina «color ocra e cinerino», una porta d’ingresso «frivola» fatta di vetro e di «tante virgole di ferro battuto», due finestre che danno su una bella piazza e lasciano entrare generoso il sole, le altre stanze che, affacciando su una strada stretta e buia, sono scure e un po’ tristi, ma rischiarate dalle luci di molti lampadari. Questa casa che ha una sua struggente voce (evidenziata in corsivo nel testo), che vive insieme ai suoi abitanti il tragico svolgersi della Storia, che prova per tutti loro “amore e sconfinata pietà”, non è un semplice espediente narrativo, né ha un valore solo simbolico, ma acquista il ruolo e lo soessore di un vero e proprio personaggio. A svelare la sua centralità è l’immagine che dà avvio al romanzo, l’arrivo dei Volterra nella nuova abitazione in una giornata di inizio marzo, a un vento di scirocco «che giungeva a folate irregolari e distratte» e sotto un cielo che gocciava un’acqua leggera, quasi un segno dell’infelicità e del pianto che sarebbero venuti.
La casa che aveva accolto i giorni e i sogni dei protagonisti, un tempo buono che andava incontro al futuro, resiste al tempo maligno che scorre sotto il segno dell’umana malvagità, testimone delle loro vite interrotte e custode di un segreto che sarà svelato nel finale del libro.
«Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità non meritiamo di esistere» scriveva José Saramago, legando in un nodo strettissimo ricordo e coscienza attiva del ricordo. Fedele all’impegno di raccontare il più grande crimine contro l’umanità, fin dal suo folgorante esordio con Una bambina e basta (1994), Lia Levi con questo romanzo aggiunge una tessera preziosa al suo percorso narrativo. E lo fa alla sua maniera. Uno stile amabile e pieno di grazia con improvvisi lampi di tensione e di sofferenza, un’impareggiabile capacità di descrivere ambienti e personaggi a volte in punta di penna, a volte con straordinari affondi, una scrittura elegante dove la scorrevolezza non è mai figlia di semplificazione, ma nasce da una grande qualità letteraria e dal talento di saper raccontare.
Tutte le storie narrate da Lia Levi hanno una magia. A lettura conclusa restano là dove sono entrate, restano nella mente e nel cuore e ci aiutano a ricordare. Se la Shoah appartiene al passato, ancora oggi sono tutt’altro che sconfitti il razzismo, il pregiudizio e l’intolleranza. Le sue pagine diventano compagne contro l’indifferenza e l’egoismo, ci esortano a non volgere mai lo sguardo dall’altra parte davanti alle ingiustizie e alle violenze e a tenacemente sperare in un mondo migliore, costruito sull’accoglienza, la mitezza, la fratellanza. Perché ogni volta che una creatura viene perseguitata per le sue idee, ogni volta che una creatura muore di fame o perde la vita su un barcone della disperazione nelle acque del mare, uno di quei forni torna ad accendersi.
Grazie a Lia Levi per il dono di questo romanzo. Un libro da leggere o da rileggere. Per non dimenticare.