Come per il libro precedente, voglio iniziare questa recensione definendo quest’opera con un aggettivo: ancestrale.
Dal vocabolario Treccani:
ancestrale agg. [dal fr. e ingl. ancestral, der. del fr. ant. ancestre (mod. ancêtre «antenato»), che è il lat. antecessor«predecessore»]. – Che appartiene o si riferisce agli antenati, trasmesso dagli antenati.
Questo libro è profondamente legato al concetto di storia, la storia intesa come passato e la storia come narrazione, che poi sono la stessa cosa. E’ un’opera intrisa di amore per ciò che è stato e di voglia di raccontarlo.
Ambientato nel paesino siciliano di Lenzavacche negli anni del fascismo, il libro narra la storia di Rosalba, una donna che vive ai margini del paese insieme alla madre Tilde e al figlio Felice, nato con una malformazione fisica.
Le due donne discendono da una famiglia di “streghe”, dove per streghe si intende un gruppo di donne sole, abbandonate, rifiutate dalla società, che nel 1600 si riunirono in una casa per non essere più sole. Le streghe di Lenzavacche vissero in un’epoca lontana da quella in cui il libro è ambientato, eppure la loro tacita presenza è viva per tutta l’opera.
Sono streghe che vivono nelle profondità della terra e nella totalità della natura, un mix tra angeli, spiriti dei boschi, Baccanti e streghe di Macbeth:
Dalla cantina e dalle viscere della terra, le streghe ululavano e ridevano di soddisfazione.
p. 150
A livello narrativo, ogni capitolo è diviso in due parti, una narrata in prima persona da Rosalba e l’altra, in forma di lettere destinate a una zia, dal maestro Mancuso, un insegnante dal misterioso passato giunto a Lenzavacche prefiggendosi un compito: trasmettere agli alunni la bellezza del raccontare storie.
Le narrazioni di Rosalba sono tuttavia le parti più belle e commoventi del libro. La donna, infatti, racconta la vicenda rivolgendosi al figlio e facendo emergere tutta la bellezza dell’essere strega, l’essere indipendenti e legate al proprio corpo e alla natura. Essere libere di amare.
Sentimi, Felice, anche quando ti dicono che è peccato, non ci credere, cercalo, l’amore, attraversalo, pianta questi tuoi occhi che vedono storto, e le mani sghembe, le gambe al contrario. Pianta tutto dentro di lei, tocca quello che puoi, coppe, ricami e rossori.
Ama, e se puoi fumati pure una sigaretta.
p. 31
Eravamo disordinate e campestri, ma non per spregio all’armonia, solo per un eccesso di immaginazione.
p. 44
Un altro elemento ha conquistato la mia mente e il mio cuore, ovvero tutto l’amore per la lettura che traspare attraverso quest’opera. Non ho mai conosciuto Simona Lo Iacono e non ho mai letto altre sue opere (ma rimedierò a breve). Eppure, tramite la sua narrazione, ho colto tutto il suo amore per la lettura, i libri, le storie.
Coltivo questa idea oltraggiosa che la letteratura possa fungere da corazza, che sia la coltre dei cento nodi, il manto del re nudo.
p. 75
Chi legge diventa indovino, affina le emozioni, tende i sensi. A volte mi hanno detto maliarda, alle altre sgarrusa e strega, ma io so che la mia capacità divinatoria non è magia. Solo abitudine alla lettura.
p. 99
Questo libro è pura magia. L’ho letto e lo voglio rileggere, voglio sempre ricominciarlo per poter tornare laggiù, a Lenzavacche, e chiudermi in quel casolare insieme a quelle straordinarie donne che sono le streghe, raccogliendo erbe e raccontandoci storie.