Con lo scopo di promuovere la lettura fin dai primi anni, per far crescere la cultura del libro e l'amore verso l'attività immaginifica per eccellenza (leggere), il premio Andersen viene assegnato da 35 anni a scrittori, illustratori, editori e operatori culturali dell'infanzia. Le premiazioni dell'edizione 2016 si svolgeranno con una cerimonia sabato 28 maggio al Museo Luzzati di Genova, dopo una settimana di iniziative in città dedicate alla cultura dell'infanzia.
La giuria è composta da Barbara Schiaffino, Walter Fochesato, Anselmo Roveda, Mara Pace, Martina Russo, Pino Boero, Carla Ida Salviati, Anna Parola, Caterina Ramonda e Vera Salton.
Il riconoscimento per 'miglior scrittore', ambitissimo, sarà consegnato alla napoletana Patrizia Rinaldi. Incuriositi e attratti dall'idea di conoscere meglio gli eroi 'comuni', addirittura troppo umani, che popolano i suoi libri, le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa sulla loro capacità di trasformare i propri difetti in 'superpoteri'. La fantasia, la capacità di sorprendere e sorprendersi, caratterizzano personaggi come Federico il pazzo, protagonista del primo romanzo di Rinaldi, che sfugge alla normalità fingendo di essere Federico II. Sorprendente, no?
Abbiamo dunque chiesto a Patrizia Rinaldi di parlarci delle sue scelte narrative, del suo stile, del suo rapporto con i ragazzi dell'istituto minorile di Nisida, e anche un po' di sé.
Leggere i suoi libri significa entrare in un mondo nel quale gli eroi sono umani, troppo umani. Un mondo in cui quelli che appaiono 'difetti' si trasformano magicamente in superpoteri. Ci spiega cosa l'ha spinta a interessarsi della diversità nella normalità?
Mi interessa il limite che può diventare risorsa. Mi pare un riscatto sul danno, un impegno di tenacia, uno sberleffo. Blanca, la mia protagonista di una serie per la casa editrice e/o, è l'opposto di un supereroe. È ipovedente, ma ha affinato gli altri sensi. Smentisce in qualche modo lo strapotere della conoscenza attraverso l'immagine, sfiora l'inconoscibile delle parole. Sbaglia spesso, si contraddice, abbraccia le mancanze. Sorride dell'imperfezione.
Ricomincia.
L'esperienza all'interno degli istituti penitenziari insegna, spesso, una realtà ben diversa rispetto a quella cui ci abitua un certo tipo di narrazione. Come sono gli adolescenti 'difficili' all'interno di questi istituti? Quali sono le emozioni, le paure, i desideri che condividono con i loro coetanei? Che cosa fa la differenza?
Quando incontro i ragazzi detenuti nell'Istituto Minorile di Nisida, cerco e trovo soprattutto vicinanze con gli altri ragazzi, con i progetti che porto avanti nelle scuole. Trascuro i dolori che i minori detenuti hanno causato e i contesti degradati che hanno subito; cerco di proporre un punto di vista lontano dai loro valori e disvalori di appartenenza.
Scrivere per i giovani o dei giovani significa assumersi una responsabilità, verso i raccontati e verso i lettori. Si è posta -o si pone- questo problema?
Quando scrivo per ragazzi non trascuro la responsabilità della speranza.
Il suo primo libro si chiama 'Federico il pazzo'. Può darmi una definizione del termine 'follia'?
Uno dei protagonisti del romanzo è un ragazzo che si difende da un ambiente scolastico violento, fingendo di essere Federico II. Usa un linguaggio arcaico e colto, lo contrappone al gergo impoverito, privo di sfumature. Si accorge che questa unicità lo salva e al contempo lo esclude. Troverà compagnia incontrando un'altra solitudine.
In questo caso la follia è un artifizio, una corazza.
La follia dell’immaginario è forse l’opposto della condanna della follia patologica.
Steve Jobs l'ha detto anche in un discorso molto celebre: siate folli, siate affamati. Una bella frase, un bell'invito. Che rapporto c'è tra la fame di vita e la follia?
Una certa follia dell’immaginario, se aiutata dalle circostanze, può consentire progetti non previsti dal luogo, dal tempo e dalle condizioni in cui si nasce.
In merito allo stile: scrivere di adolescenti significa anche scegliere se e come alludere alla sfera dell'autorappresentazione. In parole povere, descrivere un ragazzino 'diverso' può diventare una bandiera per quegli adolescenti che si riconoscono in quella diversità. Le è capitato che qualche giovane lettore le abbia detto cosa ha pensato delle sue descrizioni? Vuol condividere con noi un aneddoto?
Durante un incontro in una scuola affollata della periferia romana, un ragazzo definito dalla docente "problematico e con scarsa capacità di attenzione" mi ha parlato delle narrazioni della sua fantasia. Mi ha spiegato che raccontare è come andare in bicicletta, rispettare l'equilibrio autonomo della storia. Abbandonarsi. E non fa niente se ognuno va in bici a modo suo, l'importante è la meccanica.
L’ho trovato poetico.
Un gioco: la prima frase di 'Federico il pazzo' e l'ultima frase di 'Lontan Town', che è il suo ultimo libro? Che cosa è successo, nel frattempo, al suo stile di scrittura?
"Ho solo nove mesi e cado. Non dal seggiolone
o dalla culla, cado in coma. Perdo i sensi e me
ne vado." Da 'Federico il pazzo', Sinnos
“Mio fratello Alberto Barbari porta stivali impermeabili e sta raccogliendo acqua e fango in un secchio per buttarli via, nel fiume di fuori che prima era una strada.
Viva l’autunno.” Da 'Il giardino di Lontan Town', Lapis
Spero di essere riuscita ad approfondire le competenze narrative. Spero di essere riuscita a continuare a somigliarmi.
Scrivere per ragazzi o scrivere altri tipi di narrativa, ossia cambiare lessico e stile di scrittura, impone uno slittamento nell'approccio alla realtà oppure l'approccio è sempre lo stesso, ma cambia il modo di esprimerlo?
Cerco di rispettare profondamente contesti narrativi e soprattutto chi mi leggerà, ma la voce è una. La ricerca non dovrebbe impedirmi di usare il mio modo di raccontare.
Domani riceverà il Premio Andersen 2016 per il migliore scrittore. Un premio importante, un genere importante - quello della scrittura per ragazzi - nella letteratura italiana. Quali sono le sue fonti?
Sono onorata e felice. È un risultato alto e prestigioso.
Da ragazza preferivo libri di avventura. Amavo Salgari e Stevenson, per esempio.
Imparo anche da chi mi ha insegnato a non trascurare i guasti, ma a non fare apologia delle ferite.