Millecento anni. Tanto è durata la Repubblica Veneta: dal 697 al 1797. Un vero record storico, se pensiamo che quella italiana di anni ne ha solo 70. Di quel magico millennio, che ha visto nascere e svilupparsi una struttura socio-economica tanto solida internamente da garantire all’estero un espansionismo equilibrato e vincente, Roberto Tiraboschi focalizza nel suo ultimo romanzo La bottega dello speziale. Venetia 1118 d.C. (e/o, pp. 352, euro 18) il periodo che intercorre tra le idi (il giorno 13) di febbraio e le calende (il primo) di aprile dell’anno 1118. Stagione umida e piovosa, scenario perfetto per l’intrico dei misteriosi accadimenti che il romanzo narra e dipana. Al tempo, la scelta di trasformare in capitale lagunare l’isolotto a forma di pesce tagliato a metà dal Rivus Alto (il futuro Canal Grande), a scapito delle altre isole, non è del tutto scontata. Piazza San Marco è ancora alberata e per attraversare il Rivus Alto si utilizza un ponte di chiatte.
Protagonista è sempre quell’Edgardo d’Arduino, amanuense piacentino che nel precedente romanzo dell’autore (La pietra per gli occhi. Venetia 1106 d.C.) era giunto in laguna per sanare la vista consunta, procurandosi quelle lenti che solo i vetrai di Murano sapevano forgiare. Nella Venetia del Basso Medioevo Edgardo troverà invece l’amore che gli farà abbandonare la tonaca: la bella fiolaria (soffiatrice di vetro) Kallis, che purtroppo scomparirà nello tsunami che farà inabissare, nel 1106, l’isola di Metamauco (nei pressi dell’attuale Malamocco). Riconvertitosi professionalmente come contabile del nobile Grimani, Edgardo stordisce il dolore per la perdita di Kallis ricorrendo all’oppio fornitogli dallo speziale Sabbatai. Del resto, per dirla con l’esergo di Charles Dickens «la reale magnificenza di Venezia va oltre la più stravagante fantasia di un sognatore. L’oppio non riuscirebbe a creare il sogno di un luogo simile [...] Venezia è superlativa, è oltre, è al di fuori dell’immaginazione umana».
Se la vita di Edgardo si trascina tra dolore e sconfitta, quella del suo alter ego, Tommaso Grimani, è invece coronata dal successo commerciale e sociale: il palazzo di famiglia, dalle facciate di pietra d’Istria di «un biancore abbagliante», è tra i più belli di Venetia, la sua candidatura a Doge sostenuta e direzionata verso una quasi certa vittoria. Anche se la tessera mancante al mosaico di una vita perfetta la sterilità del suo matrimonio, dopo la nascita di un primogenito, morto a sei anni diverrà la chiave di volta di un’inversione di ruolo. Sul prosieguo non possiamo soffermarci, per non sciupare la suspense di un romanzo che spazia tra storia, thriller e introspezione esistenziale. Nelle ultime pagine l’io narrante s’interroga: «È nel destino dell’uomo che la felicità non duri che il tempo di una notte e che sempre si insinui nella mente come un demone crudele, un pensiero malato che scava e imputridisce?». La risposta al filosofico quesito arriverà forse nel prossimo romanzo di Tiraboschi, ultimo della trilogia sulle umane sorti di Edgardo d’Arduino, che se non potè essere cavaliere de iure per difetto fisico, dimostra di esserlo de facto per nobiltà d’animo e coraggio d’azione.