Albert Cossery, nato al Cairo nel 1913 e
scomparso lo scorso anno nella sua
amata Parigi, è uno di quegli scrittori
che si ha il dovere di non dimenticare.
Autore di poco meno di una decina di libri, tra
romanzi e raccolte di racconti, è stato lautore
«ombra»del900. Trasferitosi sin dal 1945 a Parigi,
amico di Albert Camus, Lawrence Durrell,
Jean Genet e Henry Miller, questo «dandy solare
e solitario» ha vissuto per più di 60 anni nella
stessa camera dalbergo, una stanza dellHotel
Louisiane. Come i protagonisti dei suoi libri ha
sempre professato la «diserzione», come la chiamava,
cioè il «ridurre allosso ogni idea di benessere
e felicità». Eppure è stato un uomo felice.
Malgrado scrivesse che «il mondo è una falsa realtà:
quando acquistate un'auto, vi costituite prigionieri
», aveva colto che «la vera intelligenza,
una volta che si è capito in che inganno si vive, è
di comprendere che la vita è bella».
Scrittore di culto ma ancora troppo poco conosciuto,
soprattutto in Italia: ed è proprio per
questo che la nuova edizione di Mendicanti e
orgogliosi (E/o, pagg. 224, euro 18), romanzo
che si può considerare il suo capolavoro, dopo
anni di oblio è un vero evento letterario. Leggerlo è quasi un dovere.
Perché Cossery è riuscito a
farci capire come molto spesso i marginali, gli
ultimi, sono «i soli veri aristocratici». Ci racconta
gli uomini dimenticati da Dio (come recita il
titolo di un altro suo libro pubblicato lo scorso
anno da Bur Rizzoli): miserabili, esclusi, vagabondi annebbiati dallhashish,
visionari, ma anche
prostitute, protettori, insegnanti dellarte
dellelemosina. Abitanti dei quartieri più poveri
del Cairo ma ognuno con una propria dignità.
Come ha scritto Henry Miller«Nessuno scrittore ha descritto in modo più acuto e d'implacabile
la vita di coloro che formano limmensa folla
sommersa». Ripetendoci che il mondo è popolato
di impostori lo scrittore vuol farci capire che
la vera prigione non è la miseria ma la nostra
povertà esistenziale: il lavoro, il matrimonio, il
possesso sono «vettori di schiavitù». E questa
sua filosofia è sintetizzata al meglio proprio in
Mendicanti e orgogliosi:basterebbe il titolo, soprattutto
di questi tempi, per far sobbalzare anche
il più pigro dei lettori. Eppuresi esce a libro
finito con la convinzione che la visione del mondo di Cossery,
sempre oscillante tra tragico e comico,
non sia così lontana dal reale. Come scrive
in Mendicanti «Quel che cè di più futile nelluomo è
la ricerca della dignità. Tutta quella gente
che cercava di essere degna! Degna di cosa? La
storia dellumanità è un lungo incubo sanguinario
a causa di simili stupidaggini!».
Attraverso il protagonista del libro Gohar, ex
professore di letteratura e filosofia, diventato
un mendicante e un frequentatore di bordelli,
assistiamo a «una parabola in direzione ostinata
e contraria». Gohar, abbandonando il suo status,
aggirandosi «tra il degrado di vicoli fiancheggiati da stamberghe traballanti destinate a crollare» del Cairo comprende come «la rigida morale
che aveva insegnato, e alla quale aveva creduto
come a una ricchezza inalienabile, si era rivelata
la più nefasta cospirazione ordita contro tutto
un popolo:era lo strumento di dominio destinato
a tenere a bada i miserabili». Ormai «apparteneva
alla massa degli uomini braccati, ricacciati
ai confini dellorrore, ma implacabilmente animati da una sana fiducia nella vita
». E questa fiducia,
come per magia, riesce a diventare inchiostro
che pulsa nelle nostre vene. Ci si tatua dentro
come raramente un libro riesce a fare.