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Quei mendicanti che con orgoglio ci insegnano la gioia di vivere

Autore: Gian Paolo Serino
Testata: Il Giornale - Album della domenica
Data: 5 aprile 2009

Albert Cossery, nato al Cairo nel 1913 e scomparso lo scorso anno nella sua amata Parigi, è uno di quegli scrittori che si ha il dovere di non dimenticare. Autore di poco meno di una decina di libri, tra romanzi e raccolte di racconti, è stato l’autore «ombra»del’900. Trasferitosi sin dal 1945 a Parigi, amico di Albert Camus, Lawrence Durrell, Jean Genet e Henry Miller, questo «dandy solare e solitario» ha vissuto per più di 60 anni nella stessa camera d’albergo, una stanza dell’Hotel Louisiane. Come i protagonisti dei suoi libri ha sempre professato la «diserzione», come la chiamava, cioè il «ridurre all’osso ogni idea di benessere e felicità». Eppure è stato un uomo felice. Malgrado scrivesse che «il mondo è una falsa realtà: quando acquistate un'auto, vi costituite prigionieri », aveva colto che «la vera intelligenza, una volta che si è capito in che inganno si vive, è di comprendere che la vita è bella». Scrittore di culto ma ancora troppo poco conosciuto, soprattutto in Italia: ed è proprio per questo che la nuova edizione di Mendicanti e orgogliosi (E/o, pagg. 224, euro 18), romanzo che si può considerare il suo capolavoro, dopo anni di oblio è un vero evento letterario. Leggerlo è quasi un dovere. Perché Cossery è riuscito a farci capire come molto spesso i marginali, gli ultimi, sono «i soli veri aristocratici». Ci racconta gli uomini dimenticati da Dio (come recita il titolo di un altro suo libro pubblicato lo scorso anno da Bur Rizzoli): miserabili, esclusi, vagabondi annebbiati dall’hashish, visionari, ma anche prostitute, protettori, insegnanti dell’arte dell’elemosina. Abitanti dei quartieri più poveri del Cairo ma ognuno con una propria dignità.

Come ha scritto Henry Miller«Nessuno scrittore ha descritto in modo più acuto e d'implacabile la vita di coloro che formano l’immensa folla sommersa». Ripetendoci che il mondo è popolato di impostori lo scrittore vuol farci capire che la vera prigione non è la miseria ma la nostra povertà esistenziale: il lavoro, il matrimonio, il possesso sono «vettori di schiavitù». E questa sua filosofia è sintetizzata al meglio proprio in Mendicanti e orgogliosi:basterebbe il titolo, soprattutto di questi tempi, per far sobbalzare anche il più pigro dei lettori. Eppuresi esce a libro finito con la convinzione che la visione del mondo di Cossery, sempre oscillante tra tragico e comico, non sia così lontana dal reale. Come scrive in Mendicanti «Quel che c’è di più futile nell’uomo è la ricerca della dignità. Tutta quella gente che cercava di essere degna! Degna di cosa? La storia dell’umanità è un lungo incubo sanguinario a causa di simili stupidaggini!». Attraverso il protagonista del libro Gohar, ex professore di letteratura e filosofia, diventato un mendicante e un frequentatore di bordelli, assistiamo a «una parabola in direzione ostinata e contraria». Gohar, abbandonando il suo status, aggirandosi «tra il degrado di vicoli fiancheggiati da stamberghe traballanti destinate a crollare» del Cairo comprende come «la rigida morale che aveva insegnato, e alla quale aveva creduto come a una ricchezza inalienabile, si era rivelata la più nefasta cospirazione ordita contro tutto un popolo:era lo strumento di dominio destinato a tenere a bada i miserabili». Ormai «apparteneva alla massa degli uomini braccati, ricacciati ai confini dell’orrore, ma implacabilmente animati da una sana fiducia nella vita ». E questa fiducia, come per magia, riesce a diventare inchiostro che pulsa nelle nostre vene. Ci si tatua dentro come raramente un libro riesce a fare.