UNA “strega”, magistrato e scrittrice, per lo Strega. Tra i candidati al più importante premio letterario italiano c’è Simona Lo Iacono con il suo romanzo storicoLe streghe di Lenzavacche(edizioni e/o), ambientato nella sua terra, la Sicilia, tra la stregoneria del Seicento e un insegnante coraggioso che, nel periodo fascista, aiuta un ragazzo disabile contro l’emarginazione di cui era vittima. Le due storie convergono in un finale a sorpresa con un tocco di realismo magico su un fenomeno, storicamente accertato, tanto affascinante quanto misterioso. Una dimensione dell’esistenza non spiegabile solo con la razionalità, alla quale l’autrice – nata a Siracusa nel ‘70, in servizio presso il Tribunale di Catania – invita ad abbandonarsi, per gustarsi la lettura. Se ne parla oggi alla libreria Il mio libro.
“Le streghe di Lenzavacche” prende spunto da fatti accaduti realmente?
«Il paesino del titolo è inventato, ma ho sentito parlare di fenomeni di stregoneria quando lavoravo a Noto. Spose abbandonate, mogli incinte, figlie rifiutate, donne perseguitate o semplicemente sole che si riunivano in una comune per fronteggiare insieme le difficoltà della vita. Non avendo molte risorse, assumevano un aspetto selvatico, sviluppavano un rapporto intimo con la natura, facevano danze e canti, il che le faceva somigliare a una setta. In realtà, praticavano quello di cui tutti oggi avremmo bisogno: la solidarietà umana».
Perché ha scelto d’inserire nella trama anche l’epoca fascista?
«Rosalba, discendente delle streghe seicentesche, vive con sua mamma Tilde e suo figlio Felice a Lenzavacche, nel 1938. Il bambino ha gravi problemi fisici, venendo additato al suo passaggio in strada, legato a un palo per non far penzolare la testa, come un “mostro”, finché non arriva il maestro Mancuso, che lo accoglie tra i suoi alunni. Il fascismo è l’epoca perfetta per esasperare l’eterno scontro tra il potere – la scuola elementare che non voleva Felice in nome di ideali di perfezione che hanno fatto i danni che sappiamo – e la libertà, il coraggio e la fantasia di chi non crede alle apparenze».
Quali sono le “streghe” di oggi?
«Faccio volontariato nel carcere di Brucoli. Tengo corsi di letteratura, scrittura e teatro. Uso i mezzi artistici per attuare il principio rieducativo della pena sancito dall’articolo 27 della Costituzione. I detenuti sono persone che apparentemente hanno perso tutto, ma in realtà hanno molto da insegnarci, a partire dal loro bisogno di spiritualità. Non siamo fatti solo di corpo o di roba, ma troppo spesso ce ne dimentichiamo».
È difficile esercitare la magistratura nella sua isola?
«La Sicilia è una metafora dell’Italia, come diceva Sciascia. Siamo corrotti nell’animo e, citando Papa Francesco, la corruzione è uno di quei peccati non assolvibili. Bisogna cambiare mentalità per cambiare le cose. Intanto, continueremo a fare il nostro dovere, anche a costo della vita, come i tanti colleghi che sono caduti per lo Stato».
Che cosa si aspetta dal Premio Strega?
«Faccio tutto con amore, per questo non mi pesa seguire più carriere. Scrivo all’alba o tardissimo. Scrivere è la mia modalità di stare al mondo. Non per esternare, ma perché vivo scrivendo. La scrittura è essere me stessa. Mi aspetto questo: di continuare a farlo».