Dato che questo mese Linus parla anche un po' di libri e di scrittura e guarda caso questo mese esce anche il mio primo romanzo, nel dilemma tra approfittare o meno di questa bella coincidenza, ho pensato una terza via tra l'imbarazzo di cantarsela e suonarsela e l'ipocrisia di fare finta di niente. Una bella intervista. Senza mettere di mezzo colleghi che non hanno ancora letto il libro, l'intervista viene condotta dai personaggi stessi del romanzo, attraverso le domande che si trovano sparse qua e là nei dialoghi. I don't go off topic, lo prometto: si parla di libri, di scrittura e di America (anche stavolta)
Almeno mi racconti una storia?
Sì, racconto una storia lunga più di quarant'anni (per poco più di duecento pagine), che ha come protagonista una famiglia, due genitori, due figlie, una nonna, più altri personaggi le cui vicende s'intrecciano a quelle di questa famiglia. La storia viene raccontata dal punto di vista della figlia minore, e ha come centro geografico un'isola minore appunto, il Giglio, che è un luogo solo apparentemente isolato e "staccato" da quanto succede nel resto del mondo, dove avviene la Storia. La grande Storia in un modo o nell'altro trova la via per arrivare ovunque. Così capita che, anche su quest'isola dove l'esistenza è - solo apparentemente - immutabile e paradisiaca, la morte di un martire della Resistenza influenzi tutta la vita a venire di chi gli sopravvive, che arrivino gli anni di piombo e il terrorismo (o almeno il loro eco fortissimo) con lo sbarco di due attentatori di Piazza Fontana mandati al confino, che gli anni di pace ma vuoti di senso come sono stati gli ultimi venti si schiantino proprio li, sotto forma di una nave da crociera enorme e scintillante, che nonostante la tecnologia più avanzata non riesce a tenere la rotta.
E perché scegliere proprio il Giglio e non l'Elba per esempio? o Ponza?
Perché è un posto che conosco molto bene e si sa che parlare delle cose che si conoscono bene migliora la tenuta delle bugie che si raccontano. E scrivere è mentire. O, come dice meglio Calvino, i romanzieri dicono quella parte di verità che è nascosta alla base di ogni bugia. C'è una base di verità anche in questa storia, ma costituisce solo la radice. Ci sono dei "semi" di verità: anch'io come la protagonista sono cresciuta al Giglio più o meno negli anni che racconta lei, anch'io ho una sorella maggiore con la quale ho un legame molto forte, una nonna romagnola, ma tutti questi personaggi non sono i miei familiari e - per fortuna - la mia vita è stata ed è molto diversa da quella della protagonista che racconta. Mi sono presa la libertà cli far fare a questi personaggi quello che volevo, di raccontare una verità che non esiste.
Chi ti credi di essere, eh?
Lo so che ho manipolato le vostre vite, vi ho imposto ruoli, dialoghi, azioni, ho fatto di tutto a voi personaggi, vi ho fatti passare attraverso situazioni scomode, vi ho fatti sanguinare diverse volte, vi ho presi a schiaffi, insultati vi ho fatto soffrire e anche morire. Vi ho fatti naufragare ma vi ho anche salvati. Come ha detto Elena Ferrante in una recente intervista scrivere è un atto di superbia. Perché comunque la metti ti arroghi il diritto di imprigionare nelle parole una verità tua, di raccontare fatti, anche se sono solo simulacri di fatti, nel modo che decidi tu, anche al posto degli altri. Quindi fate bene a chiedermi chi mi credo di essere. Però non credo di essere nessuno. Mi piace osservare la vita e cercare di capirci qualcosa, il gioco di mettere insieme i pezzi, la lettura, ma il mezzo che per me forse funziona meglio è la ricostruzione o l'invenzione della memoria attraverso la scrittura. Ho provato a misurarmici. E mi è piaciuto molto.
Ma quanto ci hai messo? Lo sai che è tardissimo?
Lo so, sono lenta. Ci ho messo tanti anni a finire; l'ho iniziato, l'ho buttato, l'ho riscritto tre volte, poi dal momento in cui ha trovato un editore alla pubblicazione sono passati altri due anni. Sono una procrastinatrice di natura, la vita in questi anni ha preso il sopravvento sulla scrittura, ma credo anche per una ragione che ha a che fare con quanto dicevo sopra, non avevo abbastanza presunzione per sentirmi una scrittrice (forse avevo ragione?). Ho lavorato per tanti anni dall'altra parte, per i libri degli altri, e a un certo punto mi sembrava impossibile cambiare lato della barricata, anche se l'urgenza di scrivere ha sempre premuto molto. Nel frattempo però tante cose sono cambiate non lavoro più in editoria e sono anche venuta, ahimè, a vivere in un altro Paese.
Dove? Dove?
Negli Stati Uniti, a Washington D.C.
Ma di che ti lamenti? Non è fantastico?
Non mi lamento e vivere qua per certi versi è fantastico. Solo che è difficile scrivere in una Lingua e vivere in un Paese in cui quella Lingua non si parla, seguire l'uscita del proprio libro da un altro continente. Anche fare l'editing a distanza è stato un momento complicato, non poter lavorare gomito a gomito con gli editor, avere poco modo di parlarsi e delegare lo scambio a elenchi di correzioni che viaggiavano con la differita del fuso orario. E soprattutto non poter prendere in mano la prima copia del libro quando viene stampato, ma arrivare dopo, quando è già in Libreria. Mi sento un po' come se mi nascesse un figlio e io fossi da un'altra parte. Per non parlare della difficoltà di discuterne con gli americani. Fino a che non ci sarà una traduzione in inglese, se mai ci sarà, non ho modo di condividere con nessuno il mio lavoro. Che già ha a che fare con l'immateriale, già è un lavoro solitario, a cui si aggiungono l'impossibilità di condividerlo e questa specie di esilio. Se fossi più saggia potrei prenderla meglio, come una condizione privilegiata che mi permette di essere più distaccata. Ma tanto non ci riesco a essere distaccata.
Perché hai paura?
Perché non dovrei averne? La paura è l'ingrediente segreto di ogni cosa che prevede di metterci amore per essere fatta. La paura c'è sempre quando t'importa molto di qualcosa.
Per chi è?
Non ho voluto mettere dediche né ringraziamenti perché diventano quelle trappole per cui o metti tutti o qualcuno si sentirà escluso. Il libro era originariamente per mia sorella. Poi ho pensato che era anche per i miei genitori. Ma pure per i miei figli. Per una persona che amavo e non c'è più. Che poi sono diventate due. Adesso per essere corretta potrei dire che il libro è per chi mi aspetta di là dal mare.
Che uso hai fatto della tua libertà fino a questo momento?
Un uso Limitato, ma per fortuna slegato dai vincoli imposti dai bisogni primari, che tendiamo un po' a sottostimare perché non ci riguardano direttamente più di tanto, ma sono quelli più potenti. Mi sono sempre sentita vincolata ai legami con le persone che amo e anche condizionata dalle loro aspettative. Ma più che restrizioni alla mia libertà ho sempre vissuto questi legami come orbite necessarie, dettate dalla forza di gravità. Qualcosa a cui non potevo sottrarmi. È difficile ribellarsi alla forza di gravità, ma ci si può esercitare. Invecchiando, le orbite in qualche modo si allentano.
Quando Nixon è venuto a Roma nel '69, che è venuto a fare?
Non lo so. Ma qualcuno nel romanzo sembra avere la risposta.