Margherita l’hanno trovata in un fosso, seviziata con una mazza e strangolata. Suo marito Giulio, gestore di un ambiguo bar notturno ad alta frequentazione femminile, non sa capacitarsi della sua scomparsa. Andrea è un commissario che vive in casa con un figlio piccolo e una suocera invadente perché Alice, sua moglie, è scappata via senza troppi convenevoli. Marco è un ispettore vizioso, raccomandato, violento, oppresso da un padre importante e da una storia familiare fatta di tanta apparenza e di altrettanto dolore. Francesca è una poliziotta che ama Andrea, odia Alice ma si arrende a Marco. Cristiano, detto Mignolino, è un manovale della delinquenza, cattivo un tanto al chilo e sadico finché ce n’è. Mettendoli tutti insieme, intersecando i piani delle loro esistenze, mischiando dati cause e pretesti, scaturisce I pregiudizi di Dio, noir psicotico più che psicologico, secondo lavoro dello scrittore romano Luca Poldelmengo edito da E/O nella collana Sabot/age.
Un libro vero, sporco, concreto. Che parte proprio dall’omicidio di Margherita. Uno di quelli semplici, mediaticamente allettanti, senza troppe complicazioni criminali ma con ampia possibilità di approfondimento nei talk show. E infatti, bastano poche ore, una voce che trapela, un inquirente che vede la possibilità di ribalta, che Mandela (il luogo dell’omicidio, piccolo paese della valle dell’Aniene abituato alle nebbie del nulla) si riempie di furgoncini televisivi. Il carrozzone è in moto. Le domande sempre le stesse. Gli eterni dormienti si scuotono. I media mandano in scena il copione antico ma perfettamente funzionante dell’emotività: il vicinato inconsapevole; il marito piangente che veste i panni del mostro; la cittadina scandalizzata.
Insomma, con I pregiudizi di Dio, Poldelmengo punzecchia il corpaccione molle del voyerismo all’italiana, stuzzicando quella parte guardona del Paese che pasce laddove la curiosità si trasforma in morbosità, dove l’altro non è più un essere da sostenere ma da qualcuno da scrutare e dove l’iperconnesione alimenta l’eterna voglia di sbirciare le vite altrui attraverso il buco della serratura. Il mondo secondo Poldelmengo è un mondo impersonale, a tratti malato, dove le relazioni brucano fibre ottiche e solo di quelle si cibano. Un mondo asettico, ipertrofico nei difetti quanto nella facilità di emettere giudizi. Un mondo nato da un nuovo big bang, più grande e potente e virtuale: quello della rete. Un mondo in cui la sensazione di essere supera l’essere stesso.
Tra riverberi scerbanenchiani e insegnamenti carlotteschi, I pregiudizi di Dio è un libro bellissimo e terribile, che immortala il presente in una polaroid impietosa. Un racconto di provincia dove cattiveria e bontà s’intrecciano in un’amalgama di frettolosa giustizia e sommaria verità. E Poldelmengo è un mostro di bravura nel descrivere le magagne morali di un mondo in dissoluzione. L’ha dimostrato con il suo romanzo d’esordio, Nel posto sbagliato, in cui presagiva con inquietante precisione la deriva dell’iperconnettività.
La narrativa di Luca è lucida e secca. Ferma. Ma non consola. Per niente. Se cercate evasione e superficialità, andate altrove. Qui si parla di letteratura contropotere, che lascia chiodi in testa e rabbia nel cuore.