«Vi è solamente un problema filosofico vera- mente serio: quello del suicidio». La frase di Albert Camus appare in esergo al romanzo di Massimiliano Governi La casa blu (e/o, pp. 144, euro 10). Lo spunto di base è in effetti interessante e terribile insieme. Un giornalista malato di depressione da molti anni sta facendo un viaggio in macchina fino a Pfäffikon, località Svizzera della buona morte, poi- ché vi sorge una clinica dove, compiuti i protocolli e gli accertamenti di rito, si può morire in pace e, co- me si suol dire, «con dignità». Il viaggio l’uomo lo compie con il figlio adolescente, ignaro dei veri motivi, convinto che il padre stia andando a raccogliere materiale per un’inchiesta.
Il romanzo è quasi del tutto (a parte le due pagine finali) costruito sui dialoghi. Padre e figlio, figlio e madre (al telefono), un terzo uomo anche lui di pas- saggio nel tempietto dell’eutanasia, e legato al padre del ragazzo da un brutto episodio passato. Una sfida bella tosta, quella di tirare una narrazione, sia pur non lunghissima, con
la sola forza delle frasi che i personaggi si scambiano. Tecnicamente molto impegnativa.
Intanto, c’è la questione della psicologia. Di una descrizione e di un approfondimento che non posso essere ottenuti attraverso descrizioni di voci intime o fuori campo.
Non c’è un narratore onnisciente, il punto di vista è quello del lettore che ascolta. Il testo, per come è, potrebbe essere già testo teatrale. Le conversazioni sono colte, dense di riferimenti alla cultura alta, come l’Iliade, e a quella pop (la serie tv True Detective). Del resto, padre e figlio sono l’uno un intellettuale al tramonto, l’altro un intellettuale in erba.
Governi osa molto e spesso con buon esito. Sceglie tuttavia di non affrontare stilisticamente la cadenza del parlato. I protagonisti a volte parlano in maniera un po’ didascalica, dicendosi cose che già dovrebbero sapere, come se l’intento dello scrittore fosse quello di semplificare la vita del lettore.
Un grande merito del libro sta nel fatto di affrontare, sia pur di striscio, un tema fortemente attuale: la depressione. Sentite questo dialogo, dove il primo a parlare è il padre: «È inutile, ho perso pezzi di me- moria». «Per colpa dei tuoi amici palindromi?». « Sì, e degli antidepressivi». «Ma cos’è la depressione? Io non l’ho ancora capito». «La depressione non è una vera malattia, gli uomini se la sono inventata».«E allora perché fa stare così male?». «Perché è peggio di una cosa vera, di una malattia mortale».
L’amico palindromo è lo Xanax, l’ansiolitico for- se più diffuso al mondo. Sul fatto che la depressione non sia una malattia ci sarebbe molto da discutere. Ma che faccia stare abbastanza male da indurre il pensiero di un’uscita di scena definitiva, beh, in questo Governi ci ha azzeccato.