Con Un bellavvenire, il napoletano Marco Videtta scrittore, sceneggiatore e produttore tv, già coautore, con Massimo Carlotto, del fortunato Nordest è al suo primo romanzo «in solitaria». E bisogna dire che questa specie di «secondo esordio», un noir singolarissimo per ambientazione e per tessitura, è esemplarmente asciutto, incalzante, avvincente; pronto, si direbbe, per una riduzione cinematografica o televisiva che punti ad appoggiarsi proprio a queste qualità, che gli sono proprie ma che, sia detto a scanso di equivoci, non glimpediscono di essere anche un romanzo con una vera densità e profondità nella caratterizzazione dei personaggi. Il libro, oltretutto, affronta con piglio assai deciso un nodo tra i più oscuri e inquietanti della storia italiana, quello delle tragiche vicende che accompagnano la fine della Repubblica Sociale Italiana, in una scia di violenza che dalla guerra civile si allunga fino agli anni del dopoguerra, fino alla famosa amnistia Togliatti e allattentato al leader comunista.
Videtta isola la storia dei destini incrociati di due fratelli napoletani che, nel fiore degli anni, si trovano a vivere quei drammatici eventi. Lucio, il più grande, fascistissimo, fedele ai suoi ideali politici e incapace di capire come tutto, intorno a quella sua fede adamantina, sia toccato dal cinismo, dal tradimento, dal doppiogiochismo di chi è invece avvertito della fine imminente e della necessità di precostituirsi una via di salvezza. Lucio morirà, in circostanze tuttaltro che chiare, quattro giorni dopo la Liberazione, il 29 aprile 1945. E suo fratello Fulvio, reduce dalla campagna di Russia, cercherà di risalire alle cause e alle vere circostanze di quella morte. Nel certificato della questura essa viene registrata come lesito di una fucilazione da parte dei «patrioti», cioè i partigiani. Ma Fulvio apprenderà ben presto unaltra verità, che pure sulle prime gli apparirà impossibile, che cioè suo fratello è stato vittima della cieca violenza di un nucleo di feroci SS italiane. Lappassionata ricerca, sapientemente innervata di flashback che hanno anche il compito di spiegare, di rendere sempre nitida una trama che facilmente potrebbe perdersi e confondersi nel gioco delle apparenze di una realtà che tende a sfuggire da ogni parte, porta Fulvio nelle spire di un passato che stenta a passare, e che è quello, orribile, delle imprese della «Banda Koch», con tutto il contorno delle segrete di Villa Triste, a Milano, teatro di interrogatori sfiancanti, di torture e di abusi.Incrociamo le vicende della lotta partigiana, via Rasella, le Fosse Ardeatine, e langoscioso gioco delle parti di quei mesi tremendi in cui lItalia precipita nel baratro del più assoluto disordine prima, e poi della divisione, nellincubo del fascismo repubblichino agonizzante. Videtta definisce con icastica precisione i caratteri dei due fratelli Amitrano. È capace di ascoltare le ragioni di Lucio, la sua rivolta sbagliata al destino tranquillo che il padre aveva sognato per lui. Sa insomma capirne le ragioni, come sa capire quelle del suo travagliato e sempre più confuso fratello, uso a vivere quasi nellombra di Lucio, a farne una specie di eroe e una guida spirituale salda e sicura. La ricerca, con i suoi imprevedibili esiti, sarà dunque anche un percorso di emancipazione, attraverso la presa di coscienza dolorosa della catastrofe di un mondo che ormai è solo violenza e dissimulazione, e in cui anche lamore non sembra contare più nulla. Un mondo che, oltretutto, sta silenziosamente transitando, riciclandosi, nel nuovo ordine repubblicano. Da questo punto di vista, il titolo Un bellavvenire si può leggere pure come una beffarda preconizzazione di situazioni e figure che arrivano fino a noi, e il libro risulta uno scavo originale alle radici di una, come chiamarla?, stabile deriva tipicamente italiana, un impasto di trasformismo, trame inquinate, complotti e, in definitiva, debole democrazia.