Era un’estate di scirocco che neanche a nerbate il Signore avrebbe fatto scemare.
Partinico giaceva sotto la calura e sotto i raggiri di un vento ostinato, che arrotolava covoni e bioccoli di polvere. Il tempo scorreva coi suoi ritmi viscerali, da sempre uguali a se stessi, e nessuno immaginava che di lì a poco sarebbe stato rotto da una novità inaspettata.
Cento uomini con macchine e arnesi da cinematografo, “seggie” da regista e truccatrici esperte. Quasi un popolo nuovo venuto a insediarsi come uno straniero, con regole sue, sogni, strumenti misteriosi e parole senza cadenza. Un’invasione, ma senza armi e senza guerrieri.
Fino a quel momento Luca non aveva mai pensato ad altro che a impossessarsi del campo di calcio, a sopravvivere tra Sasà e Maciste, e a scazzottare, se necessario, dall’alto dei suoi pochi anni, per non perdere la faccia.
Ma quando, in quell’estate memorabile, la troupe del regista Damiano Damiani si innestò in paese per girare “Il giorno della civetta”, la sua vita – improvvisamente – cambiò.
E cambiò non solo perché il cinema trascinava con sé mode nuove, abiti di donna lievi come zucchero, zaffate di profumi evanescenti e sensuali, che infiammavano le notti e facevano sognare. E neanche perché l’attore Franco Nero, noto come il pistolero Django, pareva uscito da una di quelle pellicole western che riempivano le domeniche pigre davanti allo schermo, mentre un esercito di elettricisti, macchinisti, autisti e produttori sciamavano da una strada all’altra, invadendo botteghe, case e ville padronali.
No. Cambiò perché lei, Claudia Cardinale, venne a vivere proprio lì, a due passi da lui, provando le parti da recitare, facendo rivolare perle di sudore sul collo, tentando di imitare il dialetto per esigenze di copione e chiamandolo, inaspettatamente: “Occhi belli”.
Fu come una parola incantatrice, come un gioco ammaliato e sgarruso, o come una di quelle formule che le donne recitano sui piattini quando inventano fattuccherìe d’amore.
E Luca entrò nel film.
Vi entrò come un’ombra, come un segugio appassionato e timidissimo, gemendo di nostalgia, patendo per gli sguardi lascivi degli altri, per quella bellezza profanata cui lui solo sentiva di avere diritto di accesso.
Fu un piccolo protettore invisibile, che per amore lasciò le scapestrate abitudini giovanili, e volle capire tutto, ma proprio tutto, di quella donna e del suo mondo.
Romanzo di incanti e seduzioni, “L’incantesimo delle civette” (edizioni e/o) di Amedeo La Mattina, è più di un potente romanzo di formazione. Perché dal momento in cui Luca si invaghisce della Cardinale e si imbatte, nella biblioteca paterna, nel libro di Sciascia, la sua vita non si limita a evolversi in una inevitabile maturazione amorosa e sensuale, ma si addentra nel mistero della realtà e nella necessità delle scelte morali.
- Chiedo quindi all’autore, innanzi tutto, che rapporto c’è nel libro tra scoperta dell’amore e scoperta della realtà. Amedeo La MattinaL’infatuazione adolescenziale accende la prima luce in quella camera oscura che era Partinico. Non è stato sempre così. Nella stesura del racconto, anzi nelle varie stesure, l’innamoramento è cresciuto improvviso, inaspettato, mi è esploso tra le mani, deflagrando contro una realtà ovattata fino a quel momento. Non pensavo all’inizio che quell’amore sarebbe stato la chiave di volta del romanzo, fino a diventare il vascello che ha consentito a Luca di lasciare lo scoglio e scoprirsi siciliano di mare aperto. Luca, il mio doppio letterario (nel 1967 non avevo 14 anni), ha sentito odore di libertà, di emancipazione. L’amore (per la verità gonfio di ormoni, come può essere un ragazzo di quell’età, ma non per questo meno sentimentale: lì la confusione diventa massima) gli ha messo le ali.
- Caro Amedeo, l’impatto tra l’arrivo del cast e la vita quotidiana di Partinico è potentissimo, ironico, sorprendente. Da quel momento, in effetti, è come se l’arte costringesse a guardare in faccia non solo i cambiamenti di costume (pensiamo agli abitini della Cardinale che fanno invaghire mezzo paese) ma anche quelli sociali (la scoperta del fenomeno “mafia” negato e strisciante). Ma allora è l’arte a fungere da sovvertitore delle coscienze e delle abitudini? Mi dispiace deluderti: no, non è l’arte. Per Luca è la sorpresa di trovarsi, improvvisamente, davanti a una “straniera meraviglia” incarnata in una donna splendida e in un’articolazione di persone che al ragazzino sembrano extraterrestri. E’ l’evocazione di mondi lontani e misteriosi, le illusioni da fiera portata da compagnie di girovaghi giunti da chissà dove. E’ la “straniera meraviglia” di Amleto di fronte al fantasma del padre, è la frontiera oltre la quale si cela l’ignoto. E’ l’altrove oltre le montagne e l’orizzonte del mare. L’arte viene solo come conseguenza: è il momento raffinato dopo aver navigato e lasciato lo scoglio.
- E il piccolo Luca. Sognatore ma anche coinvolto in un inaspettato processo di maturazione umana. Quanto devi a questo ragazzino? Come ti dicevo, Luca non sono io: è il mio doppio letterario. Nel ’67 avevo 8 anni. Ma a me è successo qualcosa di moto simile quando ero adolescente negli anni Settanta e la mia vera “straniera meraviglia” è stato altro, non le civette. Molto più “banalmente” è stata la politica e l’incontro con due uomini che hanno caricato la mia molla. Uno di questi era Peppino Impastato. L’altra si chiamava Gino Scasso (anche lui non c’è più). Nel libro ho voluto rielaborare quell’estate del ’67 con le Civette di Damiano Damiani, ho preso un filo, l’ho tirato per farne l’incipit di una presa di coscienza, trasformando il tutto in una favola di formazione. Così come Luca, anche io ho dovuto superare l’oscurantismo di un paese e di una società repressa dalla mafia dalla cultura cattolica e democristiana imperante.
- Infine, e naturalmente, la Cardinale. Bellissima, ma anche affettuosa e materna. Quando lascerà Partinico, a fine riprese, per Luca sarà come un abbandono, dal quale gli sarà difficilissimo riprendersi. L’hai più rivista…anzi, Luca l’ha più rivista? Sì, dopo 49 anni, pensa. E’ successo a febbraio a Roma. Quel giorno io avevo una grande fretta di tornare in redazione per scrivere un pezzo. Lei doveva ricevere un premio alla Fondazione Treccani. Avevo preso appuntamento con il suo collaboratore, Samon. La prima cosa che le ho detto è stata . Lei rimase interdetta, mi chiese cosa aveva fatto mai per avermi rovinato la vita. . Si mise a ridere come solo le grandi star sanno fare e ha detto . Samon, asiatico con codino, mi guardava con la faccia scettica. Quando Claudia venne presa dall’evento, mi disse che difficilmente la Cardinale avrebbe letto il libro: . Me ne andai triste. Un mese dopo mi trovavo in un bar pieno di fumo a Vittoria. Ero in provincia di Ragusa per un reportage. Era una mattina grigia. Il cielo piombo non si decideva a piovere. Ai tavolini una decina di uomini fumava una sigaretta dietro l’altra. Dietro il bancone due rumene ciarlavano e servivano svogliatamente i clienti. Mi squilla il cellulare e io rispondo un po’ infastidito alle 9 del mattino. Una voce di donna mi chiede se sono io Amedeo La Mattina. Rispondo di sì con poca convinzione e lei dice . Io farfuglio un “grazie, sono lusingato, che bello sentirla”. Claudia ride, come solo le grandi star del cinema sanno fare. Risento il canto delle civette, che non sono mai uscite dalla mia mente.
Grazie di cuore, caro Amedeo, per le tue risposte e per il dono di questo bellissimo libro.