Pasquale Ruju ha sempre la testa tra le nuvole. O meglio: tra le nuvolette. Nel senso che è sempre indaffarato a scrivere fumetti. Un altro albo dell'enigmatico Dylan Dog, magari, o una nuova puntata dell'intramontabile Tex. (A proposito di Tex: anche il mensile ora in edicola, L'onore di un guerriero, è firmato da Pasquale Ruju). Nuorese classe 1962, figlio del pittore Tonino, di casa a Torino sin dai tempi dell'università (si è laureato in Architettura al Politecnico), Ruju è da anni uno degli autori di punta della corazzata Sergio Bonelli editore, leader indiscusso nel mercato del fumetto italiano.
Autore di tre miniserie di grande popolarità tutte sue, Demian, Cassidy ed Hellnoir, Pasquale Ruju torna ora con i piedi per terra ed esce con un romanzo più duro e realistico. Un caso come gli altri, appena pubblicato dalle edizioni e/o. Esordio letterario per un creativo eclettico che fa sì lo sceneggiatore di fumetti, ma fa pure l'attore, il doppiattore e il regista.
Da dove viene questa tua grande voglia di raccontare storie?
«Fondamentalmente la voglia ce l'ho da sempre. È il modo di raccontare che cambia. Puoi farlo in diversi modi, scrivendo, recitando, dirigendo, perfino componendo canzoni... Certo quando sceneggi un fumetto, devi descrivere tutto, ogni particolare. Al disegnatore devi fornire ogni singolo elemento utile alle tavole. Quando scrivi un romanzo, invece, occorre lasciare spazio alla fantasia del lettore, non lo devi chiudere in una gabbia. Ecco perché nella prosa diventa fondamentale tagliare, limare, asciugare. Trovare il giusto limite. In questo lavoro devo molto al mio editor Claudio Ceciarelli. Lui mi ha mostrato il metodo, ed è andata a finire che son diventato più realista del re».
Un caso come gli altri ha molto della scrittura cinematografica, l'uso del tempo verbale presente, i flashback...
«I venti anni di lavoro nel settore si fanno sentire».
Il curriculum di Pasquale Ruju parla chiaro. Fumetti, tantissimi fumetti, a partire da quel Dylan Dog n. 128 del 1997, Il richiamo della foresta, ma anche tanta radio, tanto teatro, e tv (soltanto per fare un esempio: Ruju ha interpretato il commissario Achille Molonia nella soap opera italiana “Centovetrine”). Doppiaggio, poi: cinema, telefilm, telenovelas e cartoni animati. La filmografia di Ruju, invece, parte addirittura dal lontano 1988, con il cortometraggio Un incontro, di cui firma soggetto, sceneggiatura e regia. Quindici, in totale, i corti arrivati negli anni. Compreso Un caso come gli altri.
Questo romanzo noir d'esordio, infatti, è nato proprio come un cortometraggio. Una decina di anni fa, quando «una mia amica attrice di Torino che ora non c'è più, Stella Bevilacqua - ricorda Pasquale Ruju -, mi propose di scrivere la sceneggiatura di un film a cui lavorare insieme. Non lo avevamo mai fatto prima. Così nacque l'idea del corto. Girato nel 2007, è uscito nel 2008 e ha fatto le sue tappe per festival».
«L'idea di sviluppare quella storia, comunque, è rimasta. Partendo dai personaggi, che continuavano a "parlarmi", suggerendomi di raccontare di più sulle loro vite, sul loro passato... ». Poi sono arrivati Massimo Carlotto e Colomba Rossi, sempre a caccia di storie dell'Italia di oggi per la collana Sabot/age delle edizioni e/o. «Il nostro rapporto è cominciato con il racconto Giochi di prestigio pubblicato dal Manifesto nell'ambito della rassegna "Resistenze Noir", curata da Colomba Rossi».
«I personaggi e i fatti di Un caso come gli altri avevano bisogno di più spazio rispetto ai pochi minuti del corto. Molto più spazio» spiega ora l'autore, in viaggio sul treno che da Milano lo porta a Roma per una delle numerose presentazioni del libro. Già recensito nelle pagine culturali dei più grandi giornali nazionali, segnalato la settimana scorsa anche dall'Espresso.
Un noir che ha due donne protagoniste...
«Ho provato a raccontare una stessa storia da due punti di vista differenti, entrambi femminili» spiega Ruju. «Una doppia visione degli stessi fatti».
Da una parte: Annamaria, vedova di un potente boss della ’ndrangheta che dalla Calabria è risalito fin su al Piemonte. Dall'altra: Silvia, giovane e rampante Sostituto procuratore della Repubblica. La prima racconta la vita di una famiglia criminale dell'interno, nella quotidianità di un matrimonio come tanti. La seconda invece racconta della stessa famiglia, e in particolare del marito di Annamaria, il defunto capoclan Marcello Nicotra, dal punto di vista della legge, portando alla luce i suoi delitti e le sue violenze. Annamaria vede solo l'uomo della sua vita, l'amore vissuto fin dalla tenerissima età di 16 anni. Silvia invece ricostruisce tutta un'altra storia di quello stesso uomo. La sua parte criminale, che Annamaria semplicemente ha scelto di non vedere.
«Succede così anche nella realtà delle famiglie di malavitosi. La rimozione è forte - spiega ancora Pasquale Ruju -. Le mogli, le madri, le figlie o le sorelle, vedono soltanto l'uomo che hanno in casa, nella sua apparente normalità. E questo non vuol sempre dire che sono deboli, o sottomesse. A volte vuol dire semplicemente che gli vogliono bene.». Ecco perché le versioni di Annamaria e Silvia sono così differenti. È proprio questa differenza il filo conduttore della storia, fino al suo inevitabile epilogo.