Capita, non tutti i giorni, di trovarsi a Santiago de Cuba (città natale di Compay Segundo, sede di una Casa della Trova tra le più vivaci e divertenti dell’isola, e luogo di nascita del Rum Bacardí, insomma un luogo di tutto rispetto). Capita di entrare nella hall di un albergo, davanti al quale ronza uno gigantesco pullman Transgaviota, la cui pancia sta espellendo vagonate di trolley. Capita di incrociare una signora americana che abbraccia, letteralmente abbraccia, The Story of a New Name, sì proprio la traduzione nordamericana di Storia del nuovo cognome di Elena Ferrante. Sbalorditivo.
Ma Cuba è ancora isola magica, e lì tutto è (quasi) possibile, compreso il fatto che Ernest Hemingway abbia dormito in tutti gli alberghi, mangiato in tutti i ristoranti e paladares, e pescato in tutti i cayos.
Scavalco usando i gomiti un esercito di omoni, gli americani oversize non sono maestosamente giganti, sono solo estremamente ingombranti (e ho scoperto, sempre a Cuba, che condividono questa caratteristica con gli oversize russi). Tra parentesi i maschi Usa hanno una nuova divisa per il tempo libero, il cui marchio è (scusate la pubblicità, ma è troppo evocativo) Under Armour. Ovvero sotto l’armatura. Chi l’ha inventato si è ispirato a quella protezione che indossano i giocatori del football americano. A me invece fa venire in mente un esercito in libera uscita, che data la stazza assomiglia più a una truppa di occupazione.
Finalmente raggiungo la signora, che indossa tranquilli pantaloni scuri e una t-shirt grigia no-logo. Le faccio una festa che la mette in imbarazzo (ma è tale l’entusiasmo nel vedere un libro di Elena Ferrante tra le mani di un’americana che dimentico i limiti). Poi sorride. «Amo molto la vostra autrice, L’amica geniale è davvero un capolavoro. Questo secondo però mi piace di meno. Non è equilibrato. C’è troppa Lila, almeno per il momento. Mentre a me piace il balance tra le due protagoniste».
Io penso che Lila e Elena siano i due lati della stessa medaglia. Recto e verso. Se c’è una, c’è l’altra.
«Oh sì, lo penso anch’io. Mi tolga una curiosità: in Italia che ne dite del fatto che non sapete chi sia davvero Elena Ferrante? Non credo che da noi la cosa sarebbe possibile. A meno che il marketing non lo imponga». Ride, guardando i compagni di viaggio Under Armour.
«Da noi si è speculato sul fatto che potessero essere due uomini, intellettuali: Domenico Starnone o Goffredo Fofi».
Ride di nuovo, Meg, questo il nome della lettrice ferrantiana. «A man? Not possible!».
Sono d’accordo con Meg. Domenico Starnone? Goffredo Fofi? Se barbuto deve essere chi ha ideato la quadrilogia de L’amica geniale, che sia dunque un vero fenomeno, e quindi una donna barbuta. Non un maschio che banalmente non si rade da mesi.
Meg e io ci salutiamo, e a futura memoria io le scatto una foto del libro tra le sue mani (non ha voluto che le riprendessi il volto: la privacy).
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Dopo Santiago, sono andata in un sacco di posti, Santa Clara, Camagüey, Cienfuegos, Trinidad, L’Havana, Bayamo, Cayo Coco, Cayo Guillermo, Viñales, solo per citare qualche posto a casaccio, e Elena Ferrante, anche per merito della sua lettrice americana, è stata al mio fianco. Ovunque ho visto bambini e ragazzini andare a scuola, chi a piedi, chi in bici dietro a mamma (su un seggiolino di legno home-made), chi sul carretto trainato da un somaro, chi a cavallo dietro a papà, allo zio, al vicino, chi in autostop. Anche noi con l’auto ne abbiamo tirati su tanti, casa-scuola-casa-scuola. Il tasso di alfabetizzazione a Cuba è del 92 per cento.
E il mio pensiero andava continuamente alle due protagoniste della Ferrante: ognuna a modo suo ossessionata dall’apprendimento e dalla conoscenza, in un ambiente, un rione napoletano di fantasia ma drammaticamente realistico, dove la scuola, lo studio, il sapere sono valori da sfigati, e l’analfabetismo è una parola senza significato. In Campania la dispersione scolastica è al 21,8 per cento. Superata solo da Sicilia e Sardegna.
In un’intervista che Elena Ferrante ha rilasciato a Nicola Lagioia, e pubblicata su la Repubblica, dice molte cose sul senso dello studiare. Cose a mio avviso più che giuste.
Ne estrapolo una: «Avremo una buona cultura diffusa senza alcun nesso con il modo di guadagnarsi da vivere?» Ecco, la risposta cubana a questo interrogativo è sì. Lo stipendio medio è di 23 pesos, circa 20 euro.
Ne estrapolo un’altra: «I laureati allo sbando testimoniano drammaticamente che la crisi ormai lunga della legittimazione delle gerarchie sociali sulla base dei titoli di studio è giunta a compimento». E come questa situazione evolverà, conclude Ferrante, è ancora tutto da vedere.
Quando sono rientrata a Roma ho parlato con edizioni e\o, l’editore che pubblica la Ferrante, per sapere le cifre di vendita della quadrilogia. Eccole: quasi un milione tra Stati Uniti e Canada. 900mila solo da noi.
Geniale, la nostra amica barbuta, vero? E brillantissima sintesi di anni di duro lavoro sui libri. Perché non credo che Elena Ferrante si sia fermata alla terza elementare.
p.s. Se Meg avesse avuto il Kindle non avrei mai saputo che cosa stesse leggendo, mannaggia.
p.s.2 Durante i miei giorni cubani dall’Italia è giunta l’eco che Elena Ferrante, oltre a essere Fofi, Starnone (e c’è anche la moglie di Starnone, la traduttrice Anita Raja) potrebbe essere la docente universitaria Marcella Marmo. Aspettiamo altre nomination.
p.s.3 Storia della bambina perduta è tra i sei finalisti del prestigioso premio letterario britannico The Man Booker International Prize. Il vincitore verrà annunciato il 16 maggio.