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Ricordi da Partinico tra rivelazioni di mafia e Claudia Cardinale

Autore: Attilio Bolzoni
Testata: Repubblica
Data: 18 aprile 2016

Partinico, estate 1967. Un sonnolento paese siciliano si trasforma in un set cinematografico e i suoi trentamila abitanti già inseguono, con la fantasia, le scene di un western. Fingono di ignorare la vera trama, un anno dopo però quel film farà conoscere la mafia all’Italia intera. Intanto un adolescente scopre che il mondo non è così piccolo come credeva. Ciak, si gira Il giorno della civetta.

A venticinque chilometri da Palermo, il romanzo scritto da Leonardo Sciascia nel ‘61 prende le forme e le facce di celebri attori che per una stagione mettono sottosopra Partinico. Uno è famoso – Franco Nero – per avere appena interpretato Django, un reduce nordista che finita la Guerra di Successione si trascina al confine fra Stati Uniti e Messico con una cassa da morto. L’altra è ancora più famosa – Claudia Cardinale – consacrata nel Gattopardo da Luchino Visconti e in 8 e 1/2 da Federico Fellini. Il vero protagonista di questa storia fra finzione e realtà è però «occhi belli», il figlio di un medico del paese che quarant’anni dopo ricorda come quell’estate ha cambiato la sua vita.

L'incantesimo delle civette (edizioni e/o, pagg. 176, euro 16) è un backstage del film di Damiano Damiani ma soprattutto è il racconto di come una troupe, che piomba improvvisamente in mezzo a una tribù di siciliani, ha allargato gli orizzonti esistenziali di un ragazzino che stava aspettando la solita estate immersa nell’immobilità. «Occhi belli» – così la Cardinale chiamava Luca – è Amedeo La Mattina, l’autore del libro, che appena l’ha incontrata si è perdutamente invaghito della sua bellezza e del suo profumo. Una visione che l’ha segnato per sempre, trasportandolo lontano da un paesone dove, nei mesi durante i quali il capitano dei carabinieri Bellodi stava cominciando la sua partita a scacchi con l’intoccabile don Mariano, «le gonne delle ragazze si accorciano, i capelli degli studenti si allungano, gli affari dei commercianti esplodono, la mafia rimane a guardare». Fino a quando qualcuno non indovina il vero tema de Il giorno della civetta. I ricordi di La Mattina rovistano dietro le quinte, la memoria fa affiorare dialoghi del film che erano nati diversamente. Il direttore della produzione Lucio Trentini reclutava le comparse in paese, una era Rosa Bresciano, una vecchia donna vestita a lutto perenne che nella sceneggiatura – faceva la parte della madre di un mafioso finito in carcere – avrebbe dovuto inveire contro la Cardinale dicendo: «Buttana, a ‘mme figghiu consumasti». Non ci fu verso, la donna si rifiutò: «Io quella parola tinta (brutta, ndr) alla signorina Cardinale non la dico, non se la merita». Inutili le insistenze del regista Damiani, alla fine la parola «buttana» fu sostituita con «disgraziata». La casa dove viveva il capomafia Mariano Arena, Palazzo Scalia, era stata gentilmente concessa per le riprese da un ex muratore che nel giro di pochi anni – immaginatevi attraverso quali amici – era diventato il più grande imprenditore edile di Partinico. Il palazzo era nella piazza dove c’erano anche una chiesa, la sezione della Democrazia Cristiana e la caserma dei carabinieri. In pochi metri erano rappresentati tutti i poteri. Compreso quello della mafia. Il set perfetto per Damiani, che aveva perlustrato per mesi in lungo e in largo la Sicilia alla ricerca del luogo per ambientare il suo film. Il resto di questa bella narrazione corre sulle emozioni e le pulsioni adolescenziali di Luca.